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Washington Colonization: Facebook rinforza la componente politica nel suo staff

Facebook rinforza il suo staff con influenti figure politiche, preparando la strategia difensiva in vista di una possibile guerra in materia di privacy policy.
A cura di Anna Coluccino
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Fin da quando è venuto al mondo, lo staff di Facebook ha operato delle scelte molto oculate in materia di "risorse umane" – se così si può dire- integrando le proprie sezioni legali, esecutive e di pubbliche relazioni con nomi altisonanti della politica made in USA. Naturalmente, già si affollano le voci che vorrebbero il social network di Zuckerberg ormai pronto a diventare una vera superpotenza, e non solo sul piano virtuale. Ma per comprendere il livello a cui si muove la strategia di Facebook, occorre innanzitutto analizzare alcuni dei risultati della campagna acquisti degli ultimi anni: il Chief Operative Officer del social network è Sheryl Sandberg, ex capo dello staff del segretario del tesoro, Larry Summers, sotto l'amministrazione Clinton; tra i consulenti generali, figura Ted Ullyot, ex collaboratore del giudice della Corte Suprema Antonin Scalia; il vice presidente della global public policy è Marne Levine, ex collaboratrice dell'amministrazione Obama; la direttrice della public policy è Catherine Martin, ex vice assistente e vice direttore della comunicazione per la politica e la pianificazione sotto l'ultima amministrazione Bush… Inoltre, uno degli attuali candidati a guidare il team del reparto comunicazioni è Robert Gibbs, ex addetto stampa del presidente Obama.

Insomma, il minimo che si può fare è sospettare che l'inarrestabile escalation di Facebook sia -anche- legata alla fitta rete di relazioni politiche che il social network ha saputo costruirsi nel tempo, una rete che ne ha promosso il successo, garantendogli -al contempo- una sorta di "immunità". A questo proposito, basti pensare a quanti pochi guai abbia causato l'incessante polemica sui problemi di privacy che il social network si porta dietro fin dalla culla; problemi che Facebook non ha mai davvero risolto, almeno non fino in fondo, anche perché risolvere radicalmente la "questione privacy" significherebbe snaturare lo strumento, la cui ultima essenza è -per l'appunto- la condivisione totale: tematica che mal si sposa con il diritto alla riservatezza.

Che gli USA siano orgogliosi dell'invenzione di Zuckerberg è ormai cosa notoria, il presidente Barack Obama ha citato Facebook persino durante l'importantissimo discorso sullo Stato dell'Unione, ma qui stiamo assistendo ad una mutazione a tratti inquietante, ovvero qualcosa che, parafrasando una brillante definizione del New York Times, potremmo definire come lo spostamento, a velocità di banda larga, da startup a stratega della real politik.

Stando a quanto dichiarato da Marne Levine, la strategia di Zuckerberg & Co punta semplicemente all'individuazione di figure che siano vere e proprie "appassionate" del medium in questione; persone che sappiano "anticipare i problemi politici" e che siano capaci di "spiegarli in maniera appropriata". Secondo diversi analisti, invece, il desiderio ultimo del social network sarebbe quello di costruire una solida linea difensiva in vista dell'inevitabile guerra in materia di privacy che, prima o poi, si abbatterà su Facebook. E per quel tempo, sarà meglio aver costruito un solido intreccio di relazioni ed amicizie influenti che possano ridimensionare la portata dell'onda d'urto.

Ora, checché ne dicano i membri dello staff del social network, dotarsi di uno staff politico d'eccellenza non è una priorità per tutte le compagnie tecnologiche della medesima grandezza, e fare di questo incessante recruiting un obiettivo prioritario desta quanto meno qualche sospetto in merito al perché Facebook ritenga di avere un così urgente bisogno di intrecciare e fortificare le sue relazioni politiche.

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