Le autorità brasiliane rilasceranno il vicepresidente per l'America Latina di Facebook, Diego Dzodan, dopo che una sentenza di un tribunale ha definito il suo arresto una "coercizione illegale". L'uomo era stato arrestato ieri a causa del continuo rifiuto dell'azienda di aprire i server di WhatsApp alle autorità, interessate ad alcuni messaggi relativi ad un'indagine in corso su un traffico di stupefacenti. Un tribunale brasiliano ha ordinato a Facebook – l'azienda di Zuckerberg ha acquisito WhatsApp nel 2014 – di sottostare alla richiesta, operazione che anche volendo non può essere compiuta dalla realtà americana.
WhatsApp sfrutta infatti un sistema di criptaggio che non può essere scavalcato nemmeno dagli stessi sviluppatori: solo gli smartphone che inviano e ricevono i singoli messaggi sono in grado di aprirli, quindi Facebook non ha concretamente in mano nulla. Nelle ore successive alla diffusione della notizia, il social network ha definito l'arresto un "misura estrema e sproporzionata". Una presa di posizione condivisa anche da un giudice brasiliano, che in una nota ha spiegato come "la misura di imprigionamento sia estrema e decisa troppo in fretta". Ora resta da capire in che modo si evolverà la questione, perché se da un lato c'è la disponibilità a collaborare da parte di Facebook, dall'altra resta l'impossibilità di accedere fisicamente ai messaggi.
Non è la prima volta che il Brasile si scaglia contro WhatsApp. A dicembre il governo aveva ordinato il blocco di WhatsApp per 48 ore con l'accusa di essere illegale, non regolamentata e di non aver risposto alle richieste delle autorità in merito ad un'indagine. Al tempo anche Zuckerberg era intervenuto definendo la decisione "un giorno triste per il Brasile". Poche ore dopo il giudice Xavier de Souza aveva ribaltato la sentenza, spiegando che "coinvolgere milioni di utenti non è ragionevole". Gli screzi con il governo, però, sembrerebbero non essere ancora terminati.