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Bluff della RAI sul canone per i pc, migliaia di lavoratori a rischio truffa

La televisione di Stato prova ad imbrogliare migliaia di lavoratori spedendo loro richieste di pagamento per un “Canone Speciale” dovuto per il solo possesso di un pc o di un qualsiasi apparecchio atto a riprodurre i programmi RAI. Il vuoto legislativo al momento però non obbliga alcun tipo di tassa al di fuori di quella tradizionale per la tv.
A cura di Angelo Marra
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Il canone RAI da sempre rappresenta una delle tasse più odiate dal popolo italiano. Ogni anno le nostre famiglie sono costrette a sborsare un centinaio di euro per pagare lo stipendio ai vari Minzolini, Ferrara, Vespa e il resto della crema della programmazione televisiva dell'azienda di stato. Mentre le varie offerte a pagamento degli operatori privati come Mediaset o Sky possono essere acquistate o meno dai telespettatori, il solo fatto di possedere un apparecchio televisivo impone l'onere del canone RAI in ogni casa e in ogni esercizio commerciale. In un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando e soprattutto a fronte di un'offerta televisiva di qualità insulsa, la tassa RAI risulta inevitabilmente ancora più fastidiosa.

Negli ultimi giorni, mentre sempre meno italiani si lobotomizzavano davanti a Sanremo, tra il nuovo che avanza del duetto Morandi-Celentano (rispettivamente classe '44 e '38) e la farfalla di Belen, 5 milioni di aziende e lavoratori autonomi si sono visti recapitare una richiesta da parte della RAI per il pagamento di un “Canone Speciale”, tra i 200 e i 6000 euro. Il motivo? Il possedere un pc, un tablet oppure uno smartphone, ovvero “uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni” per cui si è obbligati ”al pagamento del canone di abbonamento” (regio decreto legge del 21 febbraio 1938, n. 246). Ebbene sì, mentre l'Europa e l'Italia stessa discutono di Agenda Digitale, aiuto alle imprese e modernizzazione del paese la RAI decide di tassare la tecnologia tirando in ballo una legge firmata dal Re d'Italia.

Dura lex sed lex, direte voi, eppure non è proprio così, per fortuna a combattere l'atavica stupidità umana ci pensano i tempi biblici della burocrazia italiana. Se la legge infatti non si è accorta del secolo che è trascorso dai tempi di Marconi, i consumatori invece ne sono ben consapevoli e tramite l'Aduc hanno da tempo interrogato gli organi competenti perchè definiscano con maggiore precisione le tipologie di apparecchi sottoposti al canone RAI. La richiesta è stata inviata al servizio Rispondi Rai, alle sedi regionali della Rai, all'Agenzia delle Entrate, al ministro delle Finanze e in ben cinque interrogazioni parlamentari. La risposta? “Boh”, volendola riassumere in una sola parola.

Nessuno è in grado attualmente di stabilire se pc, smartphone e tablet siano davvero compresi tra quelli sottoposti al canone. L'unica via rimasta sembra essere quella di un interpello alla Direzione generale del Ministero delle Finanze; in caso di mancata risposta (molto probabile, visti i tempi infiniti), il contribuente può far valere la sua interpretazione della legge, senza incorrere in future sanzioni. In poche parole la legge non è ancora chiara riguardo alla faccenda, eppure la RAI continua nel suo piano di riscossione, come se chi utilizzasse un iPad per lavoro lo facesse per seguire gli onanismi mentali di Ferrara o i servizi orofaringei di Vespa.

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