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Crisi in Tunisia: il ruolo centrale di Twitter e WikiLeaks

Il ruolo di Twitter e WikiLeaks nella rivolta tunisina: tutto è cominciato con la diffusione di cables che accertavano la corruzione del regime di Ben Ali, Twitter e il passaparola hanno fatto il resto.
A cura di Anna Coluccino
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Sono in molti a credere che la crisi in Tunisia sia una vera e propria Twitter revolution, il che ci porta ad affermare che, probabilmente, se il social network non fosse esistito la rivolta avrebbe difficilmente assunto le proporzioni che hanno finito per schiacciare il corrotto dittatore tunisino Zin El-Abidin Ben Ali, costringendolo alla fuga. Il supporto logistico e diplomatico offerto dalla Francia di Sarkozy è stato fondamentale perché Ben Ali potesse lasciare il paese, ma la crisi tunisina non è soltanto un affare francese. I più informati, infatti, ricorderanno che l'ascesa di Ben Ali è dovuta principalmente al servizio segreto italiano che ne sostenne il golpe a sfavore di Habib Bourguiba, leader della lotta indipendentista tunisina, che all'epoca venne, ironicamente, considerato troppo duro nei confronti dell'integralismo islamico per  meritare di restare al potere. Il tutto avveniva nel 1987, in maniera abbastanza pacifica, tanto da passare alle storia con il nome di "golpe chirurgico". I leader politici dell'operazione furono l'allora primo ministro italiano Bettino Craxi e l'allora ministro degli esteri Giulio Andreotti, il che, alla luce di ciò che oggi sappiamo, ci consente di dedurre che l'operazione non fu gestita esattamente da una cordata di boyscout.

Insomma, anche grazie all'Italia, Ben Ali ha governato indisturbato per oltre vent'anni, finché sulla sua strada non si è parata WikiLeaks. In un cablogramma del 17 luglio 2009 (diffuso lo scorso dicembre insieme agli altri 2.428) l'allora ambasciatore statunitense a Tunisi, Robert F. Godec, definì il governo di Ben Alì "un regime sclerotico e corrotto" in balia della famiglia "quasi-mafiosa" del presidente magrebino. "Anche se brucia la piccola corruzione" continuava l'ambasciatore statunitense "sono gli eccessi della famiglia del presidente che oltraggiano i tunisini. Spesso citata come una quasi-mafia. Dire ‘La Famiglia' basta a far intendere a chi ci si riferisce. La corruzione, qui, è l'elefante nella stanza: nessuno può dirlo pubblicamente, ma tutti sanno che questo è il problema". Nonostante i tentativi di censura da parte del governo di Tunisi, il contenuto di questi cables è arrivato alle orecchie degli abitanti, soprattutto grazie al web. Innanzitutto, Twitter ha fatto sapere ai cittadini tunisini quel che il mondo pensava del loro paese e, a quel punto, essi non hanno più potuto fingere di ignorare quel che sapevano, dovevano cancellare l'oltraggio subito, dovevano reagire in preda ad un moto d'orgoglio, moto che da sempre, è la scintilla d'ogni rivoluzione. L'aumento del prezzo del pane ha fatto il resto. Inoltre, sapere che anche gli USA (da sempre amici del capo del governo di Tunisi, seppure per ragioni opposte a quelle che lo avevano portato al potere) erano scettici rispetto alla riconferma del sostegno a Ben Ali, ha spinto i tunisini a credere che fosse il momento giusto per reagire.

Ma Twitter non ha soltanto acceso la rivolta, ne ha alimentato il fuoco e ne ha diffuso gli aggiornamenti live attraverso il globo, esattamente com'era già accaduto per le proteste studentesche in Iran e per quelle contro la vittoria dei comunisti filo-sovietici in Moldavia. Il social network ha registrato vette pari a 28 tweets al secondo relativi al topic "Tunisia" e, stando a quanto dichiarato da Christopher Golda di Backtype, il totale dei tweets in tal senso sarebbe 190K. Rispetto al topic #sidibouzid, invece, città teatro dei primi scontri, i tweets sono103K.

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Twitter, insieme agli altri social network ed anche grazie al contributo di Anonymous (celebre gruppo di hacktivist), ha tenuto viva l'attenzione su quanto accadeva in Tunisia fin dall'inizio; quando ancora i grandi media preferivano ignorare la questione, sia per "opportunità politica" che per lo scarso appel generato da una notizia riguardante un paese nordafricano così poco "gettonato". Ma c'è anche una lettura a nero di tutto questo. Infatti, malgrado il fenomeno faccia ben sperare rispetto all'impossibilità di imbavagliare efficacemente il web, le notizie provenienti da Twitter non possono essere considerate del tutto attendibili. La condizione di ritardo tecnologico in cui Bel Ali ha costretto i suoi "sudditi" e il regime pesantemente censorio imposto al web, lascia credere che non siano in molti i tunisini in grado di tweettare in diretta dai luoghi degli scontri. Ecco perché è lecito immaginare che il governo, per quanto al momento militarizzato, eserciti ancora un certo potere sulla rete ed abbia tutt'ora un consistente spazio di manovra. Sarebbe perciò opportuno valutare l'attendibilità delle fonti  con un sano approccio scettico, senza lasciarsi travolgere dall'entusiasmo generato dall'idea di un popolo che, finalmente, attraverso la rete, riesce a liberarsi di un inetto, corrotto e dispotico governante. Se questa liberazione condurrà, o meno, ad un miglioramento della situazione tunisina è ancora tutto da vedere.

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