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Accedere al profilo Facebook del partner è reato (anche se la password è in comune)

Lo ha decretato una sentenza della Cassazione, che ha respinto il ricorso di un uomo che è entrato nel profilo della compagna per leggerne i messaggi. La password era stata fornita dalla donna precedentemente e mai più cambiata, ma nonostante la conoscenza delle credenziali l’accesso non autorizzato al profilo resta un reato.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Violare un account digitale è sempre un atto odioso, non di meno quando il profilo violato è quello del proprio coniuge. Non per niente un gesto del genere costituisce un reato, che da oggi — stando alla Quinta sezione penale della Corte di Cassazione — non ha più alcuna attenuante: secondo la sentenza emessa dalla Suprema Corte in questi giorni, anche chi utilizza la password spontaneamente fornita dal partner per impersonarlo o leggerne i messaggi è imputabile di accesso abusivo a sistema informatico, esattamente come chi si guadagna l'accesso con la coercizione o l'inganno.

Il verdetto è il risultato del ricorso di un marito giudicato colpevole di aver navigato all'interno del profilo Facebook della coniuge utilizzando le credenziali di accesso di quest'ultima. Nome utente e password della vittima erano noti all'individuo poiché messi precedentemente in condivisione proprio dalla moglie, che non si è più curata di modificarli neanche quando il rapporto tra i due ha iniziato a deteriorarsi. Quando il marito ha deciso di ispezionare i messaggi scambiati dalla moglie in privato, ha scoperto uno scambio di missive con un altro uomo, ha catturato le schermate compromettenti e ha provveduto a modificare la password in questione per impedire alla donna ulteriori accessi al proprio stesso account.

La difesa dell'uomo — basata sul fatto di aver ottenuto i codici spontaneamente — non ha retto: per la Cassazione "la circostanza che lui fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico, quand'anche fosse stata lei a renderle note e a fornire così in passato una implicita autorizzazione all'accesso, non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi". Il motivo è che l'accesso non autorizzato ha provocato "un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare".

A proteggere la vittima vale quindi la volontà contraria di quest'ultima, anche se il sistema migliore per prevenire abusi del genere resta quello di tenere al sicuro le proprie password. Che si tratti di social network, app di messaggistica o spazi di archiviazione cloud, non c'è niente di male nel voler mantenere privati alcuni aspetti della propria vita — anche dal proprio partner; e in un'epoca in cui (nel bene e nel male) i rapporti e le identità si costruiscono sempre di più anche online, le password rappresentano barriere a protezione di ambiti cui nessun altro dovrebbe avere accesso.

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