Arianna Huffington e la “strategia italiana” – Intervista a Diana Letizia
Qualche settimana fa vi abbiamo annunciato l'intenzione dell'Huffington Post di aprire un'edizione italiana dopo quella francese e spagnola già presenti in rete. La notizia ha naturalmente mandato in fibrillazione l'intero panorama dell'informazione digitale italiana visto l'apporto rivoluzionario che la prestigiosa testata americana ha introdotto nel campo del giornalismo online. Anche ai più grandi però capita di commettere errori o leggerezze all'apparenza inspiegabili che tuttavia non possono sfuggire a chi mangia pane e web ogni giorno. È il caso di Diana Letizia, giornalista molto nota e con una lunga carriera nel web, che ha scoperto una dimenticanza non certo di poco conto da parte dei responsabili italiani dell'Huffington Post.
La giornalista si è accorta che il dominio AriannaHuffington.it era libero e acquistabile da chiunque e non si è fatta perdere l'occasione di lanciare una provocazione proprio nei confronti di una realtà come quella dell'HuffPost che dovrebbe conoscere le dinamiche della rete meglio di chiunque altro. Letizia non ha comprato il dominio per sfruttare a proprio guadagno la popolarità della celebre fondatrice del giornale americano quanto piuttosto per sottolineare l'incongruenza della “italian strategy” portata avanti dal gruppo di proprietà di AOL.
Come mai hai deciso di dare il via a questa provocazione?
Perché faccio questo mestiere da anni, così tanti da poter essere già considerata una "vecchia" nel mondo dell'online. Quale mestiere? Questo strano mix di informazione e comunicazione sul Web, ovvero quello che dovrebbe essere il background e il patrimonio di un giornalista online. Quindi analizzo la Rete, vedo come reagisce rispetto alle tematiche che in quel momento interessano, verifico le notizie e vado alla ricerca di quanto può coinvolgere chi decide di seguirmi (e non uso questo verbo a caso, ma lo sostituisco consapevolmente a "leggermi"). Ma poi, alla fine, non faccio altro che quello che un giornalista fa da sempre: sono curiosa e, soprattutto, applico la vecchia e sana regola della veridicità e della correttezza delle informazioni. E' vero, è una provocazione: non sarà il dominio personale di Arianna Huffington a cambiare il destino del successo o meno dell'Huff Post in Italia, ma in questo caso una corretta strategia di branding era ed è assolutamente necessaria.
La versione francese del sito che hai acquistato con tanta facilità è ancora disponibile, nonostante la testata sia stata già lanciata oltralpe. Come ti spieghi una tale negligenza da parte dell'ufficio marketing dell'HuffPost?
Questa è una testata online che ha nel suo nome "HUFFINGTON Post", il cognome della sua fondatrice. Arianna Huffington ha estremamente personalizzato tutta l'attività dell'HP. E' lei il centro di tutto, è lei che viene vista nel bene e nel male come la guru dell'informazione online a livello globale. Basta questa valutazione per far sì che si comprenda, dunque, l'importanza dei domini a suo nome nel panorama internazionale. E' una negligenza o una scelta? Non lo so. Ad oggi non ho avuto contatti diretti con Huff Post. Se fosse una scelta, però, dal mio punto di vista sarebbe ancora più grave.
L'indirizzo Huffingtonpost.it risulta nelle mani di AOL già dall'aprile dello scorso anno. È plausibile che l'interesse verso il dominio Ariannahuffington.it sia secondario e che il gruppo sia solo in attesa del lancio della testata italiana prima di acquistare altri mirror?
Mi auguro che abbiano almeno comprato l'estensione xxx :-)))
Quale pensi che potrà essere il contributo dell'HuffPost all'editoria italiana online? Cosa pensi che manchi attualmente al giornalismo digitale nel nostro paese?
Manca l'equilibrio. E rispondo prima alla seconda domanda che alla prima perché se l'Huffington Post riuscirà a mostrare come si fa il giornalismo online, avrà successo e contribuirà fortemente all'editoria italiana online. Guardo gli ultimi esperimenti fatti da grandi testate online e cito qualche esempio sparso. Facciamo un gioco insieme: "sfido" i "cultori" dell'informazione in Rete ad identificare chi ha applicato cosa: utilizzo estremo della condivisione sui social, improvvisa integrazione di tool come storify come iniziative spot e non continuative, continuo utilizzo del copyright mentre c'è un mondo che "copia e incolla" a cui si dovrebbe solo dire "grazie" per aver condiviso i contenuti di una testata… Siamo ancora tutti sulla stessa barca, ancorati in porto. E per "tutti" intendo chiunque lavori, anche ai vertici, all'interno di grandi/medie aziende editoriali. C'è paura: ancora si parla di cannibalizzazione tra carta e Web, ancora si teme che la tecnologia sia un mostro e non un altro strumento da utilizzare in maniera diversa. Perché "il mezzo è il messaggio" e per il Web e le sue derivazioni (mobile, app, etc.) questa frase di McLuhan è semplicemente perfetta.