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Biotecnologie e cellule coltivate in 3D: così può accelerare la ricerca sul coronavirus

Tecniche come la coltivazione di cellule in 3D potrebbero servire a ricreare ambienti come l’epitelio cellulare, dove il virus attacca, e capire con quali nuovi farmaci è possibile neutralizzarlo al meglio. La promessa dei ricercatori è quella di tempistiche ridotte e minore impatto sulle cavie animali.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Per individuare definitivamene e produrre un vaccino o cure efficaci contro il coronavirus serviranno ancora mesi, eppure la ricerca contro la pandemia potrebbe procedere in modo più spedito. È questo il messaggio lanciato dai ricercatori del Politecnico di Milano e del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università di Milano, con un articolo pubblicato in questi giorni nella rivista scientifica Theranostics. I due team di scienziati hanno fatto il punto sulle più avanzate tecniche di bioingegneria che potrebbero aiutare la comunità scientifica a comprendere i meccanismi di azione di Covid-19 con due vantaggi: tempistiche ridotte e abbattimendo dell'uso degli animali nelle sperimentazioni.

Come ha spiegato all'Ansa la professoressa Manuela Raimondi — docente di bioingegneria al Politecnico di Milano e autrice dell'articolo — lo sviluppo di contromisure per il contenimento e la sconfitta del coronavirus al momento è "rallentato dall'uso di tecniche obsolete, imposte alle aziende farmaceutiche dagli standard internazionali decisi dagli enti regolatori". Regole simili esistono da anni e in realtà sono state ideate per fare in modo che terapie, farmaci e vaccini siano sviluppati con la dovuta responsabilità e cautela, garantendo così la sicurezza della popolazione; per alcuni però una situazione di emergenza come quella scatenata dalla pandemia di Covid-19 rischia di rendere queste misure un ostacolo anziché una risorsa.

Nell'articolo pubblicato su Theranostics vengono prese in considerazione e descritte tecniche come la coltura delle cellule in 3D, grazie alle quali è possibile ricreare in modo più realistico l'ambiente dell'epitelio polmonare, dove il coronavirus entra in azione: in questo modo testare la reazione di Covid-19 ai nuovi farmaci diventerebbe più rapido e darebbe risultati più accurati. Tra le altre soluzioni ideate nello studio del team della professoressa Raimondi per accelerare la ricerca non manca neppure la coltivazione di linfonodi, per verificare la risposta immunitaria dell'organismo una volta entrato a contatto con il virus o con un vaccino.

Percorrere simili strade permetterebbe innanzitutto di accelerare il progresso degli studi preclinici, ovvero la fase della ricerca durante la quale i farmaci vengono testati nella loro efficacia e tossicità prima che gli scienziati decidano se procedere o meno con lo sviluppo. Non solo: coltivare strutture cellulari tridimensionali capaci di funzionare in modo simile a quanto avviene nel corpo umano consentirebbe di risparmiare "fino al 90 percento degli animali" usati normalmente in questo tipo di sperimentazioni.

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