Buonenotizie.it, il sito delle news positive, vincitore di un Grant al Working Capital. Intervista a Silvio Malvolti
Ogni volta che leggiamo il giornale o guardiamo il tg la maggior parte delle notizie riguardano fatti di cronaca quasi tutti negativi. Attentati, omicidi, violenze sono il pane quotidiano di chi ama essere informato, eppure questo riflesso della società non copre lo spettro di tutto ciò che accade nel mondo. Una vecchia regola del giornalismo classico indica nelle 3 S (Sesso, Sangue e Soldi) gli argomenti di maggior interesse dei lettori e questo ha spinto inevitabilmente testate e telegiornali a dare maggiore risalto a questo tipo di eventi; eppure nel mondo accadono tante cose positive, ma prive dell'elemento di shock finiscono per non trovare adeguato risalto nella cronaca quotidiana.
Per colmare questo gap tra la vita reale e quella disegnata dalla stampa è nato Buonenotizie.it, il primo quotidiano che, come dice il nome stesso, si occupa esclusivamente di news di carattere positivo. Non si tratta soltanto di una ventata di ottimismo per una società caratterizzata troppo spesso da esempi negativi, quanto uno sguardo alternativo sulla realtà per evidenziare quanto di buono siamo in grado di realizzare. Una lettura da affiancare a quella classica del quotidiano per avere un'informazione di ciò che ci circonda più completa e oggettiva.
L'idea è stata presentata nel corso dell'ultima edizione del Working Capital Tour ed è risultata tra i vincitori del Grant da 30.000 euro. Abbiamo chiesto a Silvio Malvolti, creatore di Buonenotizie.it, di raccontarci la sua storia.
Raccontaci qualcosa del progetto: com’è nata l’idea? Da quante persone è composto il team? Quali sono i progetti e le speranze per il futuro?
La prima idea di BuoneNotizie.it è nata esattamente 10 anni fa: a mesi di distanza dall'attacco dell'11 settembre 2001, i tg non facevano altro che parlare di terrorismo, fomentando paure e preoccupazioni, talvolta anche inutili allarmismi. Pensai tra me e me che un notiziario di buone notizie era ciò che ci voleva, e all'epoca il web era in pieno fermento e rappresentava la forma più economica per una comunicazione di massa. Decisi di coinvolgere due amici, e così posai la prima pietra: era nato un sito di sole notizie positive.
Da allora, il team è cambiato numerose volte: non era facile portare a reddito il progetto. La nuova squadra è composta da 4 persone, me compreso: io mi occupo della gestione generale, poi c'è un direttore responsabile, un tecnico e un uomo marketing.
La composizione del team attuale è certamente migliore di tutte le precedenti. Con loro mi auguro di portare il progetto editoriale al successo e alla sostenibilità economica, declinando la nostra esclusiva linea editoriale sui nuovi media, in forte espansione in questo momento, in particolare smartphone e tablet. Quest'ultimo sarà il primo ad arrivare sul mercato: il numero zero sarà online dai primi giorni gennaio, scaricabile gratuitamente dall'App Store.
Cosa significa per una startup esordire nel mercato italiano? Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato?
Il momento non è particolarmente favorevole per lanciare una start-up. Dall'altra parte, altre condizioni favorevoli, come la vincita del 1° premio a Start Cup ML e Working Capital, non ci consentono di rimandare. Oggi bisogna necessariamente puntare su settori merceologici in rapida espansione se si vuole avere qualche concreta possibilità di trovare qualche finanziatore. Le categorie inserite nelle due competizioni suddette non sono state scelte a caso: ICT, green, bio e nanotecnologie, e innovazione sociale, sono sicuramente quelle da cavalcare adesso. Il fatto che ci sia una crisi in atto non significa che tutto sia destinato al fallimento. Anzi, in molti casi può essere un'opportunità.
Le principali difficoltà che ho personalmente incontrato sul mio percorso, nel corso di tutti questi anni, sono legate alla mancanza di opportunità per fare rete: se non operi già nel tuo mercato di riferimento, non è semplice aprirsi un varco. Inoltre, la competizione è diventata altissima in qualsiasi settore di mercato: dal boom economico ad oggi abbiamo comprato tutto e il contrario di tutto, non abbiamo più bisogno di nulla, ed è difficile individuare nuove nicchie.
Le parole chiave sembrano essere produttività e rilancio dell'economia. Quali sono i principali provvedimenti in cui confidate da parte del governo?
Personalmente non confido mai troppo sul fatto che fattori esterni possano determinare o meno il successo di un buon progetto. Con la volontà e la determinazione si possono raggiungere risultati impensabili. Le competenze si possono acquisire strada facendo (anche se la allungano). Non credo dunque che ci siano provvedimenti che il governo possa attuare oggi, in grado di risolvere la crisi in atto. Stiamo vivendo una crisi mondiale, e non solo italiana. Possiamo solo augurarci che chi ci governa agisca con il buon senso, ma viviamo ancora in un'epoca dove certi interessi sono troppo forti. Ci vorranno un paio di generazioni prima di tornare ad un'etica che restituisca alla politica la sua vera funzione, ovvero l'interesse di tutti. E sono certo che prima o poi ci arriveremo.
Cosa trasforma una buona idea in un business redditizio? Quali sono le strategie da seguire?
Mi piacerebbe avere la risposta! Sicuramente sognare troppo non aiuta. E' necessario che una buona idea risponda ad un bisogno, ad un'esigenza del mercato. Bisogna conoscerlo bene per essere (quasi) certi che un buon progetto incontri il favore di una determinata clientela. Questa è l'unica legge che conta. Spesso, è bene partire da ciò di cui si sente ancora la mancanza, e poi pensare ad una buona idea per proporre una soluzione, e non il contrario.
Come impiegherai il premio che ti è stato assegnato?
Investiremo in risorse che non ci saremmo mai potuti permettere senza una dotazione economica importante come quella di Working Capital. Innanzitutto in risorse umane, quindi in lavoro: le persone sono il motore di tutto. E, se sono anche competenti, potranno trasformare l'idea in valore aggiunto.
I numerosissimi progetti pervenuti alla giuria del Working Capital Tour denotano un certo fermento nel campo delle giovani aziende italiane. Cosa dobbiamo invidiare all'estero e quali sono invece i punti di forza dell'investire (in termini di idee e di soldi) nella produzione nazionale?
Credo che in Italia manchi una vera cultura d'impresa. La nostra società ci ha inculcato il concetto di posto fisso, e facciamo fatica a togliercelo dalla testa. Working Capital ha però dimostrato che questa situazione sta finalmente cambiando. All'estero vedo molto più fermento, e meno ostacoli burocratici. Anche l'imposizione fiscale italiana ci penalizza molto. Tra di noi ci sono però molti talenti, e siamo un popolo molto creativo. La qualità e il made in Italy ci hanno reso famosi in tutto il mondo. Il patrimonio turistico è ancora sottosviluppato rispetto alle potenzialità che offre il nostro Paese. Se riuscissimo a investire in Italia, in questi e anche altri settori, avremmo una marcia in più.