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Cables WikiLeaks sulla censura in Egitto: sotto accusa anche Google

In un nuovo cable, WikiLeaks svela che Youtube censurò un blogger egiziano, colpevole di aver caricato video che mostravano gli abusi della polizia. Il governo statunitense ritenne che il momento non fosse giusto per opporsi a Mubarak.
A cura di Anna Coluccino
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wikileaks egitto

Proprio negli stessi giorni in cui un membro del parlamento norvegese, organo designato all'assegnazione del Nobel per la Pace, ha dichiarato di voler proporre WikiLeaks come candidato al premio, il sito di Julian Assange pubblica un nuovo dispaccio diplomatico destinato ad avere enorme risonanza all'interno dello scenario politico attuale. Il cable in questione, infatti, riguarda l'Egitto che, proprio in queste ore, sta cercando di resistere all'ultimo, sanguinario attacco del tiranno Mubarak, e, per la precisione, riguarda la controversa problematica della censura della rete che, stando a questi nuovi documenti, sarebbe una pratica consolidata del regime, poi sfociata -nella notte del 27 gennaio- nel totale oscuramento dei mezzi di comunicazione. Naturalmente, trattandosi di una dittatura, non stupisce affatto trovare ulteriore conferma ai sospetti di censura, ma quello che è, senza dubbio, di enorme rilevanza è la sospetta connivenza di Google.

Il cablogramma è stato redatto in data 18 novembre 2008 dall'ambasciata USA al Cairo e, stando all'incontestabile contenuto del dispaccio diplomatico, l'ambasciata ha inteso informare il governo statunitense del fatto che un noto blogger e attivista per i diritti umani di nazionalità egiziana era oggetto di censura da più di un anno. Il blogger, infatti, si è visto non solo rimuovere due video da Youtube, ma gli è stato anche impedito di accedere alla piattaforma per caricarne di nuovi. L'ambasciatore manifesta sincera preoccupazione per quel che è accaduto al blogger e afferma di voler fare "tutto il possibile per assisterlo nella pubblicizzazione degli abusi della polizia". Il primo video in questione, infatti, è la testimonianza filmata dell'omicidio di un beduino del Sinai a cui la polizia di stato ha sparato per poi abbandonarlo in una discarica in cima ad un cumulo di rifiuti, il secondo riguarda le atroci torture subite da una donna in una stazione di polizia. Il blogger afferma di essersi rivolto infinite volte a Google per riottenere l'accesso al suo account, ma nessuno gli ha mai risposto.

Già nel dicembre 2007, il dipartimento di stato nordamericano era intervenuto per risolvere un incidente simile e per intercedere con Google al fine di veder ripristinati contenuti ed accessi. In quel caso, la mediazione si rivelò fruttuosa e, proprio alla luce di questo precedente, nel 2008 l'ambasciata USA in Egitto chiede di contattare nuovamente la compagnia di Mountain View perché siano ristabilite le libertà democratiche. Purtroppo però, la fine del 2008 coincide con un periodo estremamente tumultuoso, gli studenti iraniani sono in rivolta e l'Egitto è il miglior partner degli Stati Uniti fuori dalla NATO. E così, in questo caso, gli USA preferiscono non inasprire i rapporti con il regime di Mubarak piuttosto che perseguire quell'ideale di libertà su cui si fonderebbe il cuore stesso del nord America ma che, troppo spesso, sembra essere soggetto ad eccezioni frequenti e copiose: ragioni di stato, beni superiori, stabilità politica, opportunità politica, relazioni di forza, compromessi del potere e chi più ne ha più ne metta. Insomma, questa grande idea di libertà e democrazia, così potente da aver innescato molteplici e dolorosissime esportazioni, sembra essere capace di rimpicciolirsi fino a scomparire quando la situazione lo richiede. Il che la dice lunga sul perché gli Stati Uniti abbiano aspettato che Mubarak cominciasse il suo bagno di sangue per dire, con chiarezza, "ora basta, vada via". E giacché non è abituato ad essere contraddetto dall'occidente, che non è mai entrato nei suoi affari e gli sempre concesso di muoversi a suo piacimento, il tiranno egiziano fa spallucce e continua il massacro. Gli amici capiranno.

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