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Come i CEO di Google, Facebook e Twitter si sono difesi al senato USA contro il rischio di censura

Mark Zuckerberg, Sundar Pichai e Jack Dorsey si sono collegati in videoconferenza con il senato degli Stati Uniti per partecipare a una udienza che li ha visti testimoni in quanto numeri uno di alcune delle aziende che negli ultimi anni hanno maggiormente beneficiato di una norma che ora Trump vuole abrogare.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Il numero uno di Twitter, Jack Dorsey, in videoconferenza con il Senato USA
Il numero uno di Twitter, Jack Dorsey, in videoconferenza con il Senato USA

I numeri uno di alcune delle più grandi piattaforme tecnologiche online — Google, Facebook e Twitter — sono stati convocati nella giornata di ieri presso il senato degli Stati Uniti per fornire in videoconcerenza testimonianze che potrebbero contribuire a decidere il loro destino nel medio e lungo termine. L'occasione era l'udienza relativa a una norma che il presidente USA Donald Trump ha intenzione di abrogare, ovvero la Sezione 230 del Communications Decency Act — una legge emanata nel 1996 che garantisce ai siti web uno scudo legale che li protegge dalla responsabilità dei contenuti pubblicati sui loro server dagli utenti terzi.

L'udienza tenutasi ieri fa indirettamente parte dei lavori tesi allo scopo che Trump si è prefissato pochi mesi fa con firmando un ordine esecutivo ad hoc, e ha chiamato a testimonianza i numeri uno delle più note e potenti piattaforme online del settore per una serie di domande che sarebbero dovute servire a raccogliere elementi utili ad accertare alcuni elementi: ad esempio se e come questi gruppi stiano approfittando dello scudo legale loro concesso per fare soldi a scapito della tenuta democratica dei Paesi in cui operano, ma anche quali effetti potrebbe avere abrogare la norma in questione.

La diffusione indiscriminata di fake news e odio online è uno dei problemi che alcuni osservatori imputano parzialmente al fatto che siti web e social network non operano come giornali e riviste, e possono permettersi di ospitare opinioni estreme o non supportate da fatti spacciandole per notizie e punti di vista innocui. Purtroppo l'udienza non sembra avere sortito un risultato utile in questo senso. Stando a quanto riportano numerose testate, l'evento si è trasformato in una occasione per i senatori repubblicani di mostrarsi duri nei confronti di multinazionali non particolarmente ben viste negli ultimi anni; le domande formulate erano di tipo ideologico più che pratico e miravano a far passare la nozione che la condivisione di notizie e contenuti su piattaforme come Facebook e Twitter favorisse la parte politica avversa.

Dal canto loro le aziende, nelle testimonianze dei loro CEO, hanno tenuto a promuovere il loro messaggio: la rete Internet può sicuramente aver bisogno di correttivi, ma le innovazioni che ha portato sono state possibili solamente grazie alla Sezione 230 così com'è stata redatta nel 1996. Revocare lo scudo legale alle aziende del web inoltre rischierebbe di non scalfire neppure i grandi colossi, condannando invece le realtà meno facoltose — come Wikipedia e le comunità amatoriali online — a interrompere le proprie attività nel timore di cause legali.

Per conoscere il destino della Sezione 230 occorrerà ancora del tempo. Il lavoro di analisi e ricontestualizzazione del testo è stato affidato dall'ordine esecutivo di Trump al Dipartimento del Commercio e al segretario alla Giustizia, che potranno proporre un modifica o una reinterpratazione che andranno poi sottoposte alla Federal Communications Commission per l'approvazione. Il tutto mentre tra meno di una settimana si terranno elezioni che potrebbero non riconfermare al potere l'attuale Presidente.

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