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Così la commissione UE vuole cambiare Internet: cosa cambierà per gli utenti comuni

La Commissione Europea ha presentato due pacchetti di norme pensati per entrare in vigore non prima del 2023 ma che si preparano a cambiare il volto della Rete in due modi: dando più responsabilità ai gestori di social network e altre piattafome di condivisione, e vietando con più forza alle aziende più grandi i comportamenti anticompetitivi.
A cura di Lorenzo Longhitano
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In queste ore la Commissione Europea ha presentato una nuova serie di regole che in futuro potrebbero cambiare significativamente il volto di Internet, limitando il forte potere che al momento le aziende tecnologiche esercitano sulla rete delle reti e sulle attività che vi si svolgono. L'operazione è duplice e prende il nome di due pacchetti di norme proposti in queste ore ma che andranno ancora perfezionati e discussi nei prossimi mesi per poi entrare in vigore se tutto va bene nel 2023: si tratta del Digital Services Act (o DSA) e del Digital Markets Act (o DMA).

Le due parti nelle quali si dividono le proposte avanzate dalla Commissione Europea hanno l'obbiettivo di disciplinare chiaramente ruoli e soprattutto responsabilità delle numerose aziende e dei soggetti che operano online, sostituendo la Direttiva sul Commercio Elettronico che aveva lo stesso scopo ma che risale ormai al 2000. Dall'inizio del millennio in effetti molto è cambiato: dai motori di ricerca al consolidamento delle grandi piattaforme per l'ecommerce, passando per l'arrivo degli smartphone, dei social network e delle piattaforme di condivisione di contenuti. Questi fenomeni si sono sviluppati in assenza di norme che ne regolassero pienamente la crescita e le responsabilità — un problema che ora DSA e DMA si propongono di risolvere.

Il Digital Services Act

Le norme contenute nel DSA hanno l'obbiettivo di regolare in modo più stringente per le aziende le condizioni e le modalità della loro offerta di servizi online, per offrire agli utenti un'esperienza più sicura e più trasparente. A gruppi come Facebook e Google che guadagnano dalla pubblicità online potrebbe ad esempio essere chiesto di mostrare in modo chiaro quali siano i criteri secondo i quali un singolo utente visualizza un annuncio anziché un altro. Le piattaforme che si basano sul caricamento di contenuti degli utenti come i social network avranno poi più responsabilità nella proliferazione di contenuti illegali online, come ad esempio quelli che incitano all'odio o raffigurano abusi o atti di violenza sui minori: saranno chiamati a rimuoverli con più rapidità. Quando poi i contenuti saranno rimossi, le piattaforme dovranno fornire agli autori una motivazione prescisa che potrà essere contestata in un processo di revisione che dovrà essere gratiuto.

Per queste piattaforme è prevista la redazione di un documento annuale sullo stato di rischio che presentano sotto il profilo della diffusione di fake news, della sicurezza degli utenti e molto altro. Le aziende dovranno inoltre individuare un mediatore per ciascun Paese in cui operano, che sia a disposizione delle autorità locali per la soluzione di eventuali contenziosi. A essere interessati dalle nuove regole infine non saranno solamente i social network, ma anche siti di ecommerce come Amazon, aggregatori di recensioni come Tripadvisor, realtà attive nella condivisione di video come YouTube e TikTok e altri soggetti: l'idea alla base delle norme è che ogni categoria di azienda venga sottoposta a nuovi obblighi a seconda dei rischi che la sua attività comporta.

Il Digital Markets Act

Quanto contenuto nel DMA punta invece a limitare lo strapotere che un numero molto limitato di aziende può esercitare sull'intero mercato dei servizi o dei prodotti che offrono. Nel mondo della tecnologia le aziende a rischio in questo senso non mancano: Google, Facebook, Apple, Amazon e Microsoft sono tutte state ripetutamente accusate da aziende avversarie e osservatori esterni di sfruttare la loro posizione di dominio per schiacciare la competizione. Tra gli obbiettivi del Digital Markets Act c'è l'imposizione di regole di competizione più stringenti per questi soggetti, che verranno identificati con il nome di Gatekeeper. Il termine significa letteralmente guardiani del cancello e individuerà aziende con fatturato in europa di almeno 6,5 miliardi di euro, o con almeno 45 milioni di utenti tra i cittadini dell'UE, oppure semplicemente gruppi che godono di una posizione di quasi monopolio nei rispettivi settori.

I gatekeeper che gestiscono store digitali dovranno garantire condizioni di vendita eque a tutti coloro che decidono di utilizzare quelle vetrine per smerciare prodotti e servizi — un requisito simile a alle richieste avanzate da Spotify ed Epic Games nei confronti di Apple e del suo App Store; le app preinstallate su telefoni e computer dovranno poter essere rimosse facilmente o sostituite con alternative prodotte da terzi. In generale, per portare a termine una acquisizione o una fusione, queste aziende dovranno ottenere il parere favorevole dell'UE. I risultati, nell'intenzione della Commissione Europea, dovrebbero essere una competizione più sana e prezzi più bassi per i servizi e i prodotti offerti.

Le sanzioni: multe da decine di miliardi

Tra le differenze più significative rispetto a quanto avviene oggi ci sono le sanzioni che la Commissione Europea propone di applicare a chi viola le regole, che saranno decisamente più cospicue rispetto a quanto avviene oggi. Se al momento questi soggetti possono permettersi di infrangere o reinterpretare le attuali norme a fronte del rischio di dover pagare soltanto piccole multe, un domani il gioco potrebbe non valere più la candela. Nei testi si parla di multe senza tetto massimo, ma corrispondenti al 10 percento del fatturato annuale globale. Per una grande azienda della Silicon Valley una infrazione può dunque arrivare a costare più di 20 miliardi.

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