Deep Web, il lato oscuro della rete
La Polizia Postale ha smantellato in questi giorni un'ampia organizzazione dedita alla condivisione di materiale pedopornografico. Una realtà, quella della violenza sui minori, che non è nata certo con internet ma che nel web ha trovato un pericoloso compagno con il quale svilupparsi ed ampliarsi a macchia d'olio. Eppure, a guardare i numeri forniti dalla Polizia, si può rimanere allibiti; oltre 5 milioni di immagini o video di bambini sottoposti alle peggiori sevizie, una mole di contenuti così ampia eppure invisibile, nascosta. Sì perchè cercando tramite i motori di ricerca tradizionali, nella maggior parte dei casi questa tipologia di file non affiora in nessun modo. Eppure non si tratta certo di una singola immagine e considerando le numerose realtà come quella scoperta dalla Polizia può apparire incredibile come una fetta molto grande della rete risulti pressoché invisibile, sconosciuta persino a giganti come Google o Yahoo, che pure il web lo conoscono (all'apparenza) fino in fondo.
Il problema nasce proprio riguardo alle tecniche di indicizzazione delle pagine, per le quali occorre rispettare alcune regole ben precise. Facendo il passaggio al contrario, è sufficiente non rispettare uno di questi vincoli e le pagine vengono ignorate dai motori di ricerca, perdendosi in un limbo nel quale possono essere trovate solo da chi conosce esattamente la loro locazione. Naturalmente non tutto il materiale presente nel "Deep Web" ha un carattere criminale, eppure la rete "fuori controllo" viene utilizzata quotidianamente anche per scambiare contenuti che altrimenti attirerebbero all'istante l'attenzione delle forze dell'ordine.
Ma come si entra nel Deep Web? Com'è possibile "scomparire" dalla rete, che al contrario sembra la terra dell'eterno e dell'infinito, dalla quale sembra così difficile essere cancellati? I sistemi per eludere i tradizionali sistemi di indicizzazione sono molteplici. Basti pensare, ad esempio, che i motori di ricerca come Google non sono in grado ovviamente di conoscere ed archiviare il contenuto di un video oppure di un file audio; è sufficiente inserire un messaggio in una tipologia di file di questo tipo ed ecco che la nostra affermazione non risulterà mai tra i risultati di una ricerca in rete. Si tratta del caso più semplice ma ce ne sono molti altri neanche troppo complessi, come le pagine dinamiche, che non corrispondono ad un link fisso (che viene invece assegnato appunto dinamicamente) e che quindi possono essere conosciute solo da chi le ha generate. Si passa poi ai contenuti cosiddetti "unlink", cioè non linkati da nessuna parte (e quindi non visti dai motori di ricerca), a quelli inseriti in script java, senza dimenticare tutte quelle aree il cui accesso è limitato da una semplice iscrizione (in tal caso alcuni stralci di conversazione possono essere diffusi ma i contenuti multimediali rimangono riservati).
Insomma se da una parte migliaia di web master e marketers non auspicano che salire il più possibile nei risultati di ricerca e dare visibilità al loro lavoro, dall'altra c'è chi opera per ottenere l'effetto contrario, spesso con finalità criminali che appunto richiedono una certa dose di invisibilità. Ciò che preoccupa maggiormente è che tale "lato oscuro" rappresenta in realtà uno spazio molto più ampio della rete rispetto a quella che siamo abituati a conoscere e non occorrono avanzate competenze da hacker per entrarvi a fare parte. Un problema per la Polizia Postale di non poco conto, dopotutto, come si fa ad indagare su qualcosa che non esiste?