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Digital Enonomy: l’Europa del Sud vola sempre più basso

Boston Consulting Group ha pubblicato un report sullo stato della digital economy nel mondo. Dei 35 paesi presi in considerazione, il sud dell’Europa rappresenta il fanalino di coda della classifica.
A cura di Anna Coluccino
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Come recita una celebre adagio, si è sempre a sud di qualcuno, e molto spesso a tutti i sud del mondo vengono assegnate le medesime caratteristiche: si va dalla povertà al degrado estremo, dalla corruzione all'arretratezza.

In ogni caso, per quanto poco possa valere dividere il mondo in un nord e un sud a un livello "filosofico", a volte è necessario a fini "statistici". E a giudicare dall'ultima indagine pervenuta in materia di impatto delle rete sui PIL delle nazioni del mondo pare che a passarsela maluccio -stavolta- sia il sud dell'Europa, e in particolar modo (tanto per cambiare…) Italia, Grecia e Spagna.

Il report che condanna l'Europa meridionale a una condizione di arretratezza tecnologica è a cura dell Boston Colsulting Group e si chiama: Sizing the digital economy. Secondo il report, paesi come Danimarca, Svezia e Regno Unito sono riusciti a raddoppiare il peso dell'economia digitale all'interno del prodotto interno lordo. Nel nord Europa, infatti, l"incidenza sul PIL oscilla tra il 5.8% e il 7.2%, mentre in Italia siamo fermi al 2.2% e in Spagna addirittura all'1.9%.

Con l'aiuto del BCG, proviamo a fare due conti due: In Italia, nel 2010, la digital economy  ha contribuito alla crescita con ben 31,5 miliardi di euro. Se confrontiamo il dato con il 2009 notiamo un aumento del 10%. Entro il 2015, quindi, il tanto vituperato Web arriverà a influire sul PIL italiano per il 3.3% (con 59 miliardi di euro). Se poi si tiene in conto anche il valore dell'm-commerce (mobile commerce) si raggiungono i 77 miliardi di euro, una crescita media annua del 18% e un impatto sul PIL del 4,3%. E se qualcuno sta pensando "beh dai, non male" occorrerà ricordare che già oggi il nord Europa oscilla tra il 5.8% e il 7.2% e che -se le cose restano come sono- l'Italia tra quattro anni non sarà neppure in grado di eguagliare il dato del 2011, figuriamoci se potrà competere con i risultati raggiunti dalle altre nazioni.

Se poi la politica non riuscirà a fare a meno di mettere in piedi i suoi quotidiani attacchi alla rete avremo ben poco di cui esultare negli anni a venire.

Il report, inoltre, ha misurato anche il livello di "e-intensity" in 35 Paesi in tutto il mondo. La misura tiene conto di tre parametri: la qualità di Internet e delle infrastrutture, le spese totali effettuate da privati e imprese riguardanti il Web, il livello di engagement di pubblici e privati che utilizzano la rete. Sulla base di questi parametri si riscontra una differenza notevole tra paesi come il Regno Unito, Germania, Francia, Svezia e paesi come l'Italia, Grecia e Spagna. In questo caso, il nostro paese figura addirittura in penultima posizione, subito davanti alla Grecia.

Ciononostante, dal report del BCG viene fuori anche qualche dato "positivo" per l'Italia. Risulta infatti che il Bel Paese sia particolarmente "avanti" nell'utilizzo degli smartphone per acquisti online, il che apre potenzialmente un florido scenario per quel che concerne l'm-commerce.

I fattori frenanti nello sviluppo della digial economy in Italia, stando al report, riguardano soprattutto l'intramontabile ritrosia delle piccole e medie imprese allo spostamento sul web (peraltro non favorito in alcun modo da serie politiche di governo) e la scarsa educazione di consumatori e imprese a considerare sicuri i pagamenti e la navigazione online.

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