Bolla Speculativa: la minaccia è sempre più concreta?
In questi mesi, si è fatto strada un terribile sospetto, uno di quelli che, se si rivelasse fondato, sarebbe capace di trascinare all'inferno la già traballante economia mondiale, con conseguenza inimmaginabili. I sismografi finanziari sono in stato d'allerta, ad un passo dal codice rosso. Stavolta, l'epicentro del terremoto sembra piazzarsi all'interno del settore più innovativo degli ultimi anni: quello dei social media. La puzza di bruciato ha cominciato ad intensificarsi a partire dall'iper-valutazione di Facebook che, dopo l'investimento di 450 milioni di dollari da parte della banca d'affari Goldman Sachs, ha raggiunto i 50 miliardi di dollari. L'operazione ha visto anche la partecipazione dalla russa DST, che ha investito altri 50 milioni, portando così a 500 milioni di dollari il valore dell'1% di Facebook.
In seguito, abbiamo assistito ad una gestione non sempre limpida dell'affare Facebook da parte della Goldman Sachs che, recentemente, è arrivata addirittura ad estromettere i suoi clienti statunitensi dall'acquisto delle quote societarie, e tutto per evitare le indagini della SEC (Securities and Exchange Commission). Il problema ha, essenzialmente, un duplice aspetto: da un lato non si riesce a comprendere come un'azienda che ha un fatturato stimato di circa 2 miliardi di dollari possa valerne 50, dall'altro appare sospetto l'atteggiamento della GS che non lancia l'offerta di pubblico acquisto, ma si attiva per vendere le quote del social network privatamente. E la situazione sembra peggiorrare: infatti, se consideriamo gli scambi sui mercati grigi, il titolo Facebook sembra aver ormi toccato il valore di 84 miliardi di dollari.
Il punto è che se Facebook si quotasse in borsa, sarebbe obbligata a rendere pubblici i propri bilanci, il proprio andamento economico e i progetti per la monetizzazione dell'utenza, il che potrebbe portare alla definitva scoperta della bolla, ovvero della mancanza di corrispondenza tra il valore "reale" dell'azienda e quello "stimato". Ovviamente, questa è solo l'ipotesi peggiore. Può sempre d'arsi che la GS stia aspettando e raccogliendo consensi, in attesa della pubblicazione di informazioni in grado di dare sostegno al valore stimato di Facebook. Ma se guardiamo con occhio attento e cinico al mercato, dovremo ammettere che questa è una prospettiva piuttosto remota.
La situazione appare fuori controllo e si intravede quel meccanismo di esuberanza irrazionale che, agli inizi degli anni duemila, l'ex governatore della Federal Reserve Alan Green indicò come causa della bolla finanziaria che colpì il mercato negli anni '90.
La realtà dei fatti è che il modello Facebook comincia a diffondersi e, negli ultimi giorni, sembrava aver colpito anche Twitter. La JP Morgan, una delle banche protagoniste della crisi finanziaria, ma anche una di quelle che ne è uscita con meno acciacchi, si era detta decisa ad acquistare una quota di minoranza del sito cinguettante, il 10%, e la cifra che era essere disposta a pagare avrebbe portato la società ad un valore di circa 4,5 miliardi di dollari. Ora, si dà il caso che anche Twitter, come Facebook, abbia delle revenues assolutamente inadeguate a sostenere l'attuale valutazione, parliamo di ricavi pari a 45 milioni di dollari e nessun utile. Ma notizie dell'ultima ora confermano il rifiuto da parte di Twitter di vendere il 10% alla banca d'affari JP Morgan. Stando a quando dichiarato da uno dei fondatori, Biz Stone, tutto quanto scritto in questi giorni è falso, Twitter resterà indipendente.
Ma la situazione, in generale, va ben oltre i social network in senso stretto, lo stesso discorso può essere fatto per il sito d'acquisti di gruppo, Groupon, e la regina del social gaming, Zynga, che, al momento, hanno un valore stimato di circa 15 e 10 miliardi di dollari a fronte di revenues pari a 760 e 850 milioni di dollari. Ma queste due società, a differenza delle altre, hanno migliori possibilità di incrementare il loro business, basti pensare che, in un solo anno, Groupon ha incrementato di 22 volte i suoi ricavi, mentre Zynga li ha triplicati. Certo, anche Facebook li ha quasi triplicati, ma le prospettive di monetizzazione del social network non sono così entusiasmanti, e il ritmo di ampiamento della piattaforma utenti sta rallentando per la prima volta dalla fondazione del social network. In generale, resta ancora da verificare che la crescita di questi colossi sia da considerasi sostenibile e costante, tale da generare profitti in grado di giustificare le mirabolanti valutazioni ottenute.
Tutto questo delirante balletto di cifre che svettano sulla base dell'entusiasmo, della speranza, della voglia di riscatto e della convizione di aver trovato la gallina dalle uova d'oro (mito fiabesco di cui bisognerebbe liberarsi, una volta o l'altra) andrebbe, quantomeno, tenuto d'occhio con grandissima attenzione. I mille dubbi sollevati dai maggiori esperti internazionali (si pensi a Warren Buffet, imprenditore statunitense soprannominato l’Oracolo di Ohama per la sua capacità divinatorie in materia di finanza; a Giuliano Noci, vicedirettore del Mip, la business school del Politecnico di Milano; Carol Bartz, amministratore delegato di Yahoo; Eric Schmidt, CEO di Google e moltissimi altri) dovrebbero bastare a suggerire un minimo di cautela ed una più attenta valutazione dei rischi. Del resto, siamo arrivati al punto in cui le cinque maggiori compagnie "social" del mondo hanno raggiunto un valore totale che supera i 120 miliardi di dollari, se si trattasse davvero di una bolla speculativa il mercato potrebbe riportare ferite mortali.