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Epic Fail: Facebook tenta di diffamare Google… E piovono insulti

Facebook assume un’agenzia di PR allo scopo di diffondere notizie prive di fonte su Google in merito a presunte violazioni della privacy.
A cura di Anna Coluccino
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epic-fail facebook

Davvero una magra figura per il social network più famoso del mondo! Assumere un'agenzia di pubbliche relazioni -la Burson- al solo scopo di convincere blogger e testate giornalistiche a pubblicare (anche sotto dettatura) articoli diffamanti su Google… Ma come hanno potuto anche solo sperare che dei seri professionisti si abbassassero a pubblicare contenuti prodotti da altri senza neppure poter identificare una fonte certa che confermasse la notizia? Ma dove credono di vivere? In Italia? (Perdonate la nota di colore, ma un po' di autocritica male non fa). E poco importa che le accuse di Facebook abbiano senz'alcun dubbio un fondo di verità. Avrebbero dovuto affrontare Google e chiedere spiegazioni, perché scegliere il metodo della corruzione, della menzogna, dell'inganno e del sotterfugio non è tollerabile in nessun caso.

Dopo lo sfogo iniziale, ecco -in breve- il racconto del cosa è accaduto e perché.

Il Fatto

I PR dell'agenzia Burson (nota per aver curato le pubbliche relazioni di entrambi i Clinton) inviano diverse email all'indirizzo di blogger e giornalisti vari (i testi delle email li trovate qui), chiedendo loro di pubblicare articoli diffamatori riguardo le attività poco limpide di Google in materia di privacy. Infatti, stando a quanto dichiarato, Google perseguirebbe l'obiettivo di "scovare dati privati e costruire dossier personali". Nelle email i PR chiedono ai giornalisti di prestare particolare attenzione all'applicazione Social Circle, un'app che abilita gli utenti Gmail a visionare i dati degli amici degli amici, in quanto la cosa costituirebbe un'invasione della privacy…

In particolar modo, L'accusa di Facebook riguarda il sospetto che Google si appropri dei dati degli utenti del social network, e se ne serva a scopi pubblicitari. Inizialmente, Zuckerberg & Co avevano smentito la notizia che li voleva implicati in questa storia decisamente poco edificante, ma quando sono venute fuori le email hanno dovuto ammettere di aver tentato di diffamare Google, motivando il tutto con una sorta di "avevamo le nostre ragioni".

Ma, intanto, anche l'agenzia Burton si pente di aver accettato l'incarico e decide di mollare il social network.

[Estratto dalle email incriminate]

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Le ragioni di Facebook

Molto probabilmente, Facebook ha molta più paura di Google di quanto non lasciasse trasparire. E, incredibile ma vero, è anche quel +1 button che noi tanto abbiamo snobbato a spaventarlo. In ogni caso, sorprende che lo staff del social network sia stato così ingenuo da lasciare che il mondo venisse a conoscenza del suo timore reverenziale nei confronti di BigG. La posizione di Facebook veniva percepita come dominante dall'opinione pubblica. Infatti, anche se Google è molto più grande e possiede una struttura tentacolare che affonda i suoi interessi in molteplici tipologie di business, il settore social aveva un unico re, e nessuno ne metteva in dubbio l'autorevolezza anche perché sembrava vivere incurante delle azioni altrui, sicuro della propria forza e concentrato nello sviluppo costante di nuovi strumenti e funzioni. In buona sostanza il messaggio era: "noi andiamo avanti, sono gli altri che devono osservarci, imitarci o provare a superarci" . E poco importava che non fosse vero. Sembrava così. E sono anche le apparenze a determinare le posizioni di forza.

Inoltre, tutti i dati statistici raccontano la storia di Google che arranca nel settore social, che non trova una strada e che, da oltre due d'anni , si muove alla rincorsa di Facebook con occhi iniettati di sangue e poche chance di riuscire. Ma ora tutto cambia. Facebook ha mostrato la sua profonda insicurezza e l'epic fail è incontestabile.

Invece di affrontare Google ammettendo di considerare i dati degli utenti di sua proprietà, ha preferito giocare la partita del sotterfugio. E un leader conscio dei propri mezzi e delle proprie ragioni (se ne le ha…) non si comporta così. Stavolta, è possibile che la giovane età di Zuckerberg abbia giocato a sfavore del social network, spingendolo ad un'azione poco ragionata e troppo incurante dell'etica.

Le Conseguenze

L'accusa del social network nei confronti del colosso di Mountain View parla di "uso di dati riservati degli internauti". Quanta ipocrisia si cela dietro a questa affermazione. Il bue dice cornuto all'asino e, quel che è peggio, chiede ai giornali di diffamare l'asino dopo aver passato anni a tentare di convincerci che non è poi così grave se i pubblicitari si "informano" riguardo ai gusti e le preferenze degli utenti per abbigliare al meglio le loro inserzioni; che il concetto di privacy è cambiato; che i giovani non si preoccupano di rendere pubbliche alcune informazioni se, in cambio, ottengono tecnologia, condivisione, socialità, opportunità di far ascoltare la propria voce, di confrontarsi ed incontrarsi con un mondo più grande di quello che va da casa loro a scuola… E aveva convinto moltissime persone. Ma ora? Dove finiscono tutti questi bei discorsetti sul senso ultimo del progresso e sulla bellezza del mutamento?

La verità è che l'unica accusa che Facebook può muovere a Google è quella di star sfruttando dati non "suoi". Ma per farlo, dovrebbe ammettere una volta per tutte che considera propri i dati che gli utenti, e quest'affermazione -per quanto del tutto veritiera- non gioverebbe granché all'immagine del social network che si troverebbe, ancora una volta, ad affrontare le legittime richieste di chi pretende che i dati restino di proprietà dell'utente.

Facebook ha deluso. Tra i commenti più duri registriamo, solo a titolo esemplare, quelli di TechCrunch e del San Francisco Chronicle.  Ma ora il punto dolente è un altro, ed è qui e solo qui il vero problema: come fidarsi ancora di qualcuno che sembra del tutto pronto a mentire per raggiungere i propri scopi? Come credere, d'ora in poi, alle rassicuranti parole di Zuckerberg che ci racconta sorridente che "il concetto di privacy è mutato" ma che "non abbiamo nulla da temere"? Una cosa è certa, Facebook dovrà fare molto di più che limitarsi ad ammettere l'epic fail (come potrebbe negarlo?); dovrà cominciare a cedere alle richieste di chi invoca maggiore sicurezza e la titolarità dei dati che inserisce all'interno del social network; dovrà riconquistare la fiducia degli addetti ai lavori, della politica, degli utenti. E stavolta non basteranno Mark e la sua aria da eterno innocente, o le sue parole da tecno-entusiasta.

È ora di ammettere che esiste un problema. E di risolverlo.

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