Facebook brevetta il tagging: dubbi sulla privacy
I crawler dei motori di ricerca (tra cui i più famosi Google, Yahoo, Altavista, Virgilio, Ask Jeeves) acquisiscono le copie dei siti visitati e le inseriscono in un indice: url, pagine, contenuti, immagini, video, documenti sono tutti indicizzati in base al loro contenuto testuale. Così possono restituire all’utente sia le pagine più significative rispetto alle ricerche effettuate, sia mostrare in maggiore evidenza nelle SERP (Search Engine Result Pages, pagine dei risultati dei motori di ricerca) quello a cui la propria ricerca potrebbe mirare. Lo sviluppo dei motori di ricerca va verso il Web 3.0 inerente al Web semantico; dunque la contestualizzazione e l’analisi qualitativa, e non più solo quantitativa, delle parole; che in ambito business potrebbe voler significare “profilazione dell’utente” e individuazione delle caratteristiche individuali.
Il Web 2.0 tende verso la partecipazione degli utenti in un’ottica in cui non ci sarà più bisogno di spider o link sponsorizzati, ma saranno gli stessi utenti a creare contenuti per i motori di ricerca e dunque a segnalare i link, siti e pagine web che ritengono più interessanti.
Facebook, lo scorso 17 maggio, ha brevettato il sistema che consente il “tagging” riconosciuto dall’US Patent and Trademark Office. La familiarità con questo tipo di operazione è nota a molti; si decide di mettere un’etichetta, che comprende una persona o un’azienda, proprio in contemporanea è stata annunciata l’introduzione del tag anche per marchi, prodotti e personaggi famosi, che aumenti la visibilità di una risorsa digitale, in modo da renderla più esperibile e ricercabile nel cyberspazio. Si può scegliere una risorsa digitale (post, commento, foto, video, tutto ciò che può essere UGC, User generated content, e non) e, dopo aver scelto la regione di riferimento, collegarla a una persona o a un’entità e inviare una notifica. Alla notifica si può associare anche la pubblicità. Si potrà così ottenere un’analisi semiologica continua sui bisogni, paure, desideri, trend, gusti, preferenze che le parole più popolari (compresi i brand) e usate, veicolano.
L’idea e la vision iniziale di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, quella cioè di non aprirsi alla solita pubblicità digitale (pop up, banner) delle dinamiche del commercio online sta portando i suoi frutti.
Resta attuale il dibattito legato al copyright da una parte e all’OpenSocial dall’altra: se sia compito di uffici brevetti che, in modo a volte contraddittorio o non chiaro, debbano assegnare la proprietà intellettuale delle risorse digitali o se non si debba fare appello, e credere in un progressivo sviluppo, alle reti sociali aperte in grado di sviluppare, migliorare e diffondere velocemente applicazioni, software, hardware, social network, modelli di business bottom-up. Si legge in una nota della Fondazione OpenSocial: “ Gli amici sono divertenti e curiosi, ma loro sono solo su alcuni siti Web. Le reti sociali aperte consentono a quei siti di condividere i dati con il Web sociale. Le applicazioni che utilizzano le API di OpenSocial possono essere integrate in un social network o in un qualsiasi sito Web di condivisione dati da un punto Internet".