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Facebook nella bufera: “Ha usato un’azienda di PR per screditare Soros”

Sembra che la strategia adottata da Facebook, in situazioni di evidenti difficoltà, fosse quella di attaccare a sua volta, ma in maniera subdola. Questo emerge dall’articolo inchiesta del New York Times che ha rivelato come la strategia di Mark Zuckerberg, di fronte alla difficoltà, fosse quella di “negare, ritardare e deviare”. Non è mancata poi una intensa attività di lobbying per screditare George Soros.
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A cura di Francesco Russo
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Sembra che la strategia adottata da Facebook, in situazioni di evidenti difficoltà, fosse quella di attaccare a sua volta, ma in maniera subdola. Questo emerge dall'articolo inchiesta del New York Times, che sta facendo molto discutere a tutti i livelli e che ha rivelato come la strategia di Mark Zuckerberg, di fronte alla difficoltà, fosse quella di "negare, ritardare e deviare". Secondo l'inchiesta dell'autorevole quotidiano newyokese, i vertici di Facebook, ossia, Mark Zuckerberg, fondatore e attuale CEO, e Sheryl Sandberg, COO, direttore operativo, hanno preferito concentrarsi sulla crescita, ignorando i segnali d'allarme che arrivavano da diverse parti, basti pensare al Russia Gate o allo scandalo Cambridge Analytica. Poi, una volta accortosi che la situazione era quasi fuori controllo, è scattata la strategia del "nascondere tutto". L'inchiesta ha poi rivelato come Facebook si sia servita di una società di PR, la Definers Public Affairs, per screditare il magnate George Soros che, anche di recente, aveva mosso pesanti critiche al colosso di Melo Park.

"In alcuni dei momenti critici negli ultimi tre anni, erano distratti da progetti personali, passavano le decisioni sulla sicurezza e quelle riguardanti la politica a dei sottoposti", mette in evidenza il New York Times sulla base di interviste con decine di dipendenti ed ex dipendenti di Facebook.

Facebook, rispondendo alle accuse del quotidiano newyorkese, ammette di essere stato lento ad affrontare i problemi, ma osserva di aver fatto progressi su questo fronte. "E' stato un momento difficile per Facebook e tutto il management è stato concentrato ad affrontare i problemi. Stiamo lavorando duro per assicurarci che il pubblico trovi i nostri prodotti utili e per assicurarci di essere in grado di tutelare la nostra comunità dai cattivi".

Ma l'inchiesta del New York Times non si ferma solo a constatare la strategia adottata da Facebook, ossia "negare, ritardare e deviare". Quello che emerge è che oltre a questo si aggiunge anche una intensa attività di lobbying orientata a screditare le opinioni di coloro che hanno provato a criticare le attività di Facebook. Ad essere stato preso di mira da Mark Zuckerberg e i sui manager è stato il magnate George Soros, l'88enne miliardario, finanziere e filantropo di origini ungheresi e naturalizzato americano che, anche di recente, non ha risparmiato dure critiche anche a Facebook, oltre che a Google.

Si legge su NYT che mentre Mark Zuckerberg era impegnato nel suo tour di scuse per le violazioni della privacy dei suoi utenti, Sheryl Sandberg, COO di FAcebook, stava supervisionando «una campagna di lobbying aggressiva per combattere i critici di Facebook, spostare la rabbia pubblica verso le compagnie rivali e scongiurare una regolamentazione dannosa». Per fare ciò, prosegue il New York Times, «Facebook ha impiegato una società di ricerca dell’opposizione repubblicana per screditare i manifestanti attivisti, in parte collegandoli al liberale finanziere George Soros». No solo: «Facebook ha anche sfruttato i suoi rapporti commerciali, facendo pressioni su un gruppo ebraico per i diritti civili per criticare la società come antisemita» scrive il NYT.

Il tutto inizia nel 2017, quando Facebook ha affrontato, male, le polemiche derivanti dalle fake news diffusesi su Facebook durante la campagna elettorale presidenziale negli Usa, polemiche che sono poi esplose con il Russia Gate. Secondo quanto scoperto dal NYT, la Sandberg curava una vera e propria task force interna all'azienda, guidata da Joel Kaplan e dal capo della sicurezza aziendale Alex Stamos. Operazione che finisce con un nulla di fatto ed è a questo punto che scatta l'operazione screditamento di tutti coloro che criticavano Facebook, tra i quali, appunto, il magnate Soros.

George Sorso non ha mai celato le sue opinioni su Facebook, così come anche su  Google, reso di manipolare le opimioni della gente a suo uso e consumo, concetto che Soros ha voluto esprimere anche di fronte alla platea dell'ultimo World Economic Forum. «Un documento di ricerca distribuito da Definers ai giornalisti quest’estate, appena un mese dopo l’udienza della Camera – scrive il New York Times –  ha individuato Soros come la forza non riconosciuta dietro quello che sembrava essere un ampio movimento anti-Facebook».

E non è tutto, dopo le critiche ricevute anche dal CEO di Apple, Tim Cook, sempre dall'inchiesta del New York Times, emerge che Zuckerberg ha vietato ai suoi manager di usare dispositivi del colosso di Cupertino, invitandoli ad usare solo ed esclusivamente dispositivi Android.

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