Ancora un trimestre più che solido per Google: la “grande G” ha infatti annunciato la sera di giovedì 13 ottobre a mercati chiusi di aver terminato il terzo trimestre dell’anno con un utile per azione rettificato dei componenti straordinari di 9,72 dollari per azione, in crescita dai 7,64 dollari del terzo trimestre 2010, con un utile netto complessivo di 2,73 miliardi (da 2,17 miliardi). Il fatturato netto (calcolato senza tenere conto di quella parte di commissioni che il motore di ricerca condivide con i siti partner) mostra a sua volta un incremento del 37% a 7,51 miliardi dai 5,48 miliardi di un anno prima.
Numeri che non includono i proventi legati a varie start up cui Google ha partecipato nelle vesti di socio finanziatore ma che comunque già così sono apparsi di gran lunga migliori delle attese di consenso, che parlavano di 8,74 dollari di utile e di un fatturato netto di 7,22 miliardi, e che hanno portato a un’immediata accelerazione delle quotazioni del titolo, passate dai 558,99 dollari della chiusura ufficiale di giovedì ai 599,47 dollari dell’apertura di venerdì. Ancora migliore la performance da inizio ottobre (data che coincide con l’avvio dell’ultimo trimestre, quello in cui gli investitori istituzionali cercano in tutti i modi di migliorare le performance col classico “rally di fine anno”, specialmente quando i mercati vengono da mesi turbolenti come quelli dell’estate appena passata): dopo la chiusura del 30 settembre a 515,04 dollari Google aveva infatti toccato un minimo il 3 ottobre chiudendo a 495,52 dollari, per poi risalire sino ai 591,68 dollari della chiusura ufficiale di venerdì scorso.
Uno dei segreti di Google sembra essere un controllo dei costi superiore a quanto in media si attendevano gli analisti di Wall Street, ma qualcuno fa notare che “la colpa” potrebbe essere degli analisti, generalmente non in grado di distinguere tra spese e investimenti e dunque non perfettamente consci dei ritorni di questi ultimi, che sembrano per il momento andare piuttosto bene sia a confronto dei concorrenti sia dei risultati ottenuti in passato da Google. Quali sono i campi dove Google sembra voler investire (e i risultati stanno dando ragione alla strategia della grande G)? Oltre che sul web (con Chrome), nel settore del cloud computing, nella raccolta di pubblicità online (attraverso Adsense) e nello sviluppo di dispositivi mobili (col sistema operativo Android), ma anche nei social network, dove Google+, forte già ora di oltre 40 milioni di utenti registrati, è di fatto l’unica seria minaccia al monopolio di Facebook per quanto riguarda le piattaforme generaliste (il che potrebbe creare qualche problema, quanto meno in termini di valutazioni, a chi come Goldman Sachs sta attendendo da mesi il collocamento di Facebook a Wall Street sia per monetizzare il proprio investimento sia per guadagnare lucrose commissioni dall'operazione).
Non che Google sia invincibile: a parte il fallimento di esperimenti come Lively (un mondo virtuale raggiungibile “via browser” che non è mai riuscito a competere con altre piattaforme come Second Life), lo stesso Google+ non sarebbe altro che una reazione “istintiva” e sviluppata con un’ottica “di breve termine” secondo un ingegnere del software di Google stessa che in una mail che avrebbe dovuto rimanere all’interno dell’azienda e invece è diventata di pubblico dominio, ha sottolineato come quello che Facebook un buon servizio non è tanto Facebook in sé quanto la possibilità per utenti e terze parti di sviluppare e condividere centinaia di contenuti e servizi, dalle discussioni, alle immagini sino ai social game di Zynga, ciascuno dei quali interessa da qualche poche decine ad alcuni milioni dei 700 e più milioni di utenti registrati sul social network di Mark Zuckerberg. Mentre Google ancora pensa a cosa sviluppare per incontrare i favori dei suoi utenti, “faccia libro” è una piattaforma in buona misura “user generated contents” per cui sono gli utenti stessi a caricarsi degli oneri di sviluppo di nuovi contenuti e servizi.
Per la verità a Google queste critiche non sembrano preoccupare eccessivamente ed a ragion veduta: se prendiamo i click pagati attraverso Adsense, ad esempio, si nota una crescita del 28% su base annua ed un costo medio per click salito del 5% dal settembre dello scorso anno (anche se in calo di un 5% rispetto ai picchi toccati nel secondo trimestre di quest’anno). E si tratta, come fanno notare alcuni, di quelle attività “core” da più tempo avviate che avrebbero dovuto risentire di una maggiore pressione competitiva. Android, dal canto suo, in meno di tre anni è diventato il sistema operativo più diffuso tra quelli sviluppati per dispositivi mobili. Se poi tutto questo non bastasse, Google ha reso noto di disporre, a fine settembre, di 42,6 miliardi di dollari di cassa tra liquidità, titoli a vista e attività rivendibili sul mercato a breve termine.
Nonostante le critiche, insomma, motivi per continuare a scommettere sulla grande G ce ne sono in abbondanza e se ne sono accorti anche a Wall Street: già venerdì, infatti, gli analisti della banca d’affari Jp Morgan hanno alzato il target price sul titolo da 685 a 705 dollari per azione sottolineando l’accelerazione registrata dalle ricerche attraverso dispositivi mobili e la crescita dei click pagati, mentre gli uomini di Bank of America Merrill Lynch hanno reiterato il proprio “buy” (acquistare), pur limando il prezzo obiettivo da 740 a 720 dollari per azione (valore che resta di quasi un 22% superiore alle quotazioni attuali).