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Un dipendente Google critica duramente la compagnia, in pubblico [Epic Fail]

Il dipendente Google Steve Yegge, programmatore, divulga pubblicamente un documento destinato ai soli colleghi. Le parole di Yegge sono durissime e contengono pesanti rimproveri al management di google per non aver capito cosa fare con Google+.
A cura di Anna Coluccino
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steve yegge google

Steve Yegge è un programmatore e un blogger di una certa fama, anche se i colleghi hanno spesso avuto verso di lui un atteggiamento –come dire?ambivalente. Yegge ha lavorato in Amazon per molti anni e, attualmente, è alle dipendenze di Google, ma probabilmente solo ieri ha raggiunto il livello di notorietà e di consensi più elevato della sua carriera. Come? Pubblicando su Google+ (pare per sbaglio…) un documento aspramente critico nei confronti di BigG e massacrante nei confronti di Amazon. La cosa gli ha fatto guadagnare più di un'ovazione, almeno finché -profondamente mortificato per non aver saputo condividere le sue opinioni con i soli colleghi- non ha cancellato il post e affermato che, in ogni caso, quella espressa era solo una sua umile e parziale considerazione.

Eppure la sua umile e parziale considerazione aveva ricevuto unanime approvazione da parte degli utenti, il documento è stato ribattuto più e più volte, con crescente entusiasmo, rendendo -per altro- inutile la cancellazione del post dal suo profilo Google+. Ma, stando alle dichiarazioni di Yegge, non sono state le censure da parte di BigG a spingerlo alla cancellazione, né lavate di testa, né atteggiamenti discriminatori, ma solo il sincero dispiacere per aver pubblicizzato un'idea critica che doveva servire a migliorare BigG dall'interno e non a diffamarla o (peggio) a offrire il fianco ai detrattori della compagnia.

In ogni caso, fatte salve le ovvie e comprensibili retromarce, il documento divulgato (che trovate qui) contiene osservazioni puntuali e in gran parte condivisibili. Il cuore della critica di Yegge risiede essenzialmente in questo: Google pensa solo a creare prodotti e non si cura di creare piattaforme. Ha uno stile di pensiero che punta al breve termine e richiede successi subitanei, mentre pensare "per piattaforme" costringe a progetti a lungo termine e a definizione di modelli di pensiero oltre che di marketing.

Ecco gli estratti più significativi del suo J'accuse

Google + è frutto di una reazione istintiva, di un pensiero progettuale a breve termine, basato sull'errata concezione che Facebook abbia avuto successo perché ha ideato un grande prodotto. Ma non è per questo ci è riuscito. Facebook ha avuto successo perché ha costruito un'intera costellazione di prodotti permettendo ad altri di contribuire attraverso il loro lavoro. Ed ecco che Facebook è diverso per ogni utente. Alcune persone passano il tempo a giocare a Mafia Wars. Alcuni trascorrono l'intera giornata su Farmville. Ci sono centinaia o forse migliaia di differenti maniere di spendere il proprio tempo su Facebook, c'è qualcosa per tutti.

Ma ci sono passaggi  ben più diretti…

La piattaforma di Google + è frutto di una patetica titubanza. Non abbiamo rilasciato le API al momento del lancio, e l'ultima volta che ho controllato, avevamo fornito un accesso molto limitato alle API.

In buona sostanza, Yegge implora Google di smetterla di pensare come una compagnia orientata alla creazione di prodotti e di pensare di più a diventare piattaforma.

La regola d'oro delle piattaforme, ovvero "mangia il tu stesso cibo per cani", può essere riformulato con "dai vita a una piattaforma, e poi utilizzala per tutto". […] . Non si può barare. Non si possono avere backdoor segrete per le applicazioni interne che servono a conservare un accesso speciale e prioritario, per nessuna ragione. È necessario risolvere i difficili problemi che si hanno davanti.

Non sto dicendo che sia troppo tardi per noi, ma più a lungo aspettiamo, più ci avviciniamo all'essere davvero in ritardo.

Naturalmente era evidente per tutti che la principale discussione all'interno di Google vertesse su Facebook, e questo nonostante le parole di estrema sicurezza pronunciate da Larry Page qualche settimana fa e che tentavano di far credere a tutti che l'unico problema di Google fosse Google e che gli altri competitor non rappresentassero una reale preoccupazione e che, anzi, c'era sempre BigG al centro del mercato e al centro dei pensieri dello staff dirigenziale.

Bullshit, direbbero gli statunitensi. E ne eravamo tutti più che convinti.

Ma da qui ad avere la conferma che il principale argomento di discussione tra le mura della compagnia di Mountain View fosse Facebook ce ne passa. Chiaramente non è possibile sapere con assoluta certezza se la divulgazione di un documento così critico sia stato davvero un incidente (come appare probabile) o una machiavellica strategia di marketing per attirare l'attenzione su Google+ e riconquistare le simpatie di chi vede sempre di buon occhio che all'interno di una compagnia possano esistere pensieri critici e che questi non vengano censurati, anzi.

Gli utenti, infatti, hanno molto apprezzato il fatto che nello staff di BigG ci fosse qualcuno in grado di produrre una severa autocritica e non avesse paura di esporla pubblicamente… Salvo poi fare dietrofront e affermare che "La mia conoscenza di Google è eccezionalmente lacunosa. Si tratta di ‘una grande azienda che fa tonnellate di cose, e io non lavoro che in un piccolo angolo della società (sia tecnicamente e geograficamente) il che mi fornisce una visione molto parziale di tutto ciò che accade".

Insomma, una retromarcia assoluta che molto poco è piaciuta a chi prima lo aveva osannato per il coraggio e che -ora- nelle sue parole intravede solo il terrore il perdere il posto (cosa che afferma di non rischiare neppure lontanamente… e allora perché non sostenere il proprio pensiero senza melliflue manifestazioni di contrizione?).

In ogni caso, quali che siano gli antefatti e risvolti di questa vicenda, una cosa è certa: eravamo tutti d'accordo con lui. Ma è Steve Yegge che -al momento- non sembra essere granché d'accordo con se stesso o, almeno, avrebbe voluto discutere della questione solo con i suoi colleghi e non con mezzo mondo.

Ma ora il punto è un altro. Giacché mezzo mondo è ormai a conoscenza della questione, perché non aprire la discussione? Sarebbe un atteggiamento inedito, certo, ma perfettamente in linea con l'apertura di cui parlava Yegge e, di sicuro, sarebbe un'ottima mossa dal punto di vista strategico.

[A mo' di chicca finale vi offriamo il messaggio di scuse all'azienda che Yegge ha pubblicato sul suo profilo, nonché uno screenshot dei primi, acri commenti al suo mea culpa.]

Hi external-world folks,

I posted a long opinionated rant tonight about how I think Google could be doing a much better job of thinking from the ground up in terms of services rather than products. Sadly, it was intended to be an internal post, visible to everybody at Google, but not externally. But as it was midnight and I am not what you might call an experienced Google+ user, by the time I figured out how to actually post something I had somehow switched accounts.

I've taken the post down at my own discretion. It was kind of a tough call, since obviously there will be copies. And everyone who commented was nice and supportive.

I contacted our internal PR folks and asked what to do, and they were also nice and supportive. But they didn't want me to think that they were even hinting at censoring me — they went out of their way to help me understand that we're an opinionated company, and not one of the kinds of companies that censors their employees. That was cool and all, but I still didn't know what to do.

So I made the call myself and deleted it. Part of the reason is that for internal posts, it's obvious to everyone that you're posting your own opinion and not representing the company in any way, whereas external posts need lots of disclaimers so people don't misunderstand. And I can assure you, in case it was not obvious, that the whole post was my own opinions and not Google's. I mean, I was kind of taking them to task for not sharing my opinions. :)

The other reason I deleted it is that it's really a private conversation between me and my peers and co-workers at Google. I love working at Google, and I especially love the fact that I'm comfortable posting something as inflammatory as my post may have been. The company is super open internally, and as I said several times in my post, they really try hard to do everything right. That includes being open to strongly differing opinions, and that has certainly not been true at every company I've worked at.

There are of course lots of parts of my post that I'd love to talk about externally, except I'm kinda lazy and complacent these days. Please realize, though, that even now, after six years, I know astoundingly little about Google. It's a huge company and they do tons of stuff, and I work off in a little corner of the company (both technically and geographically) that gives me very little insight into anything else going on there. So my opinions, even though they may seem well-formed and accurate, really are just a bunch of opinions from someone who's nowhere near the center of the action — so I wouldn't read too much into anything I said.

Anyway, as soon as I've got a good night's sleep (unlikely at this point, but I can try), I'll repost it internally.

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