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Google Tax, rischio involuzione per l’economia italiana

Le autorità europee la impugneranno qualora diventasse legge: questo il rischio che l’Italia corre se l’emendamento discusso al Senato verrà approvato. Boccia la sostiene, ma la Google Tax non convince.
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Dopo lo scandalo Apple scoppiato in questi giorni e la dichiarazione dei redditi fraudolenta che avrebbe concesso al gigante di Cupertino di evadere le tasse italiane nel biennio 2010-2011 per un miliardo di euro, si rialza l’attenzione sul commercio dei colossi esteri in territorio italiano potenzialmente tassato dalla “Google Tax” che tanto sta dividendo politica, industriali e opinione pubblica.

La web tax, ispirata dal Presidente della Commissione Bilancio alla Camera, Francesco Boccia, e contenuta nell’emendamento alla legge di Stabilità firmato dagli esponenti del PD, i senatori Russo, Ghedini e Fedeli, in questi giorni in discussione al Senato, divide l’Italia e, prima ancora, il mondo.

Il nodo centrale della proposta di legge prevede che: “i soggetti passivi di IVA che intendano acquistare servizi on line sia come commercio elettronico […] sono obbligati ad acquistarli da società titolari di una partita IVA italiana”. L’obiettivo del punto tanto contestato sarebbe quello di evitare “ricavi facili” ai colossi hi-tech dell’e-commerce che – fino a oggi – hanno visto crescere esponenzialmente le vendite online a livello internazionale pagando, però, le tasse una sola volta nel Paese dove ha sede legale la filiale europea, beneficiando di un'aliquota più bassa.

La misura vale anche per i venditori di servizi, link sponsorizzati e spazi pubblicitari. Inoltre, il comma tre specifica: “Il regolamento finanziario […] deve essere effettuato dal soggetto (passivo) che ha acquistato servizi o campagne pubblicitarie esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri mezzi di pagamenti idonei a consentire la piena tracciabilità della operazioni e a veicolare la partita IVA del beneficiario”.

Volontà punitiva dietro la web tax: secondo la Camera di Commercio statunitense in Italia sarebbe questo l’intento dietro una proposta di legge che non ha una ratio, se la si legge nell’ottica di un’espansione del mercato e un rafforzamento del commercio globale. Critica, quindi, la posizione assunta dall’Amcham, che in un comunicato aggiunge: “Dal punto di vista etico il concetto generale che chi produce reddito in Italia debba pagare le tasse nel nostro Paese è corretto […] E’ doveroso precisare che attualmente le imprese straniere che offrono servizi online in Italia non violano alcuna legge in materia fiscale”.

Ancora l’Amcham: “la formulazione di tale emendamento rappresenta una forte restrizione alla libertà di scelta dei consumatori italiani, siano essi individui o imprese. Come sottolineato da numerosi esperti del settore, tale norma, se approvata, potrebbe esporre l’Italia a una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, per possibili violazioni dei trattati e delle normative Ue sui princìpi del mercato unico e della libera circolazione dei servizi”.

Sono l’orientamento all’innovazione tecnologica, l’arricchimento del know-how manageriale, la spinta all’internazionalizzazione che le imprese sotto la lente d’ingrandimento e, potenzialmente, sotto torchio apportano al Paese. Pertanto, l’ostacolo fiscale che si intende porre potrebbe rivelarsi un boomerang contro lo sviluppo del Paese, scoraggiando gli investimenti e le transazioni estere. La visione dell’istituzione americana, in sintesi qui riportata, non è lontana dalla visione dell’altra sponda dell’oceano. Dall’Australia si sollevano le preoccupazioni del fondatore della Seven Network, espresse attraverso le parole di Leonid Bershidsky, che su Bloomberg asserisce: “Difficile che questa proposta possa diventare legge fondamentalmente a causa della natura del commercio elettronico, ma di sicuro rallenterà le trattative sull’area di libero scambio fra le due sponde dell’Atlantico […] Senza contare le possibili conseguenze di un raffreddamento degli investimenti di Google & co in Italia sotto il profilo della ricerca e di programmi di sviluppo”.

Investimenti a rischio, eccesso di protezionismo a discapito di un driver di sviluppo: è questa la preoccupazione comune. Dall’Italia, intanto, Boccia difende strenuamente la sua proposta per il risanamento delle casse dello Stato: “Altro che balzello iniquo, è una tassa che difende gli operatori italiani dalla concorrenza sleale delle multinazionali straniere che guadagnano in Italia ma pagano le tasse all'estero”. Si scaglia persino contro il Presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, il quale non appoggia la proposta di tassazione e attira le critiche dell’esponente del Governo, il quale insinua: “mi sorprende molto che Parisi si occupi di più degli interessi delle multinazionali straniere”.

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Anche la politica italiana si è divisa circa la Google Tax, persino all'interno dello stesso partito, il M5S, si è verificata una spaccatura. E’ degli scorsi giorni la polemica di Grillo contro la web tax: “La Google tax sarebbe semplicemente illegale all'interno dell'Unione europea. Il problema di fondo è che i vari politici sono sempre più arrabbiati con aziende come Google, Apple, Facebook e simili perché pagano le loro tasse in un solo Paese Ue. […] Quello che non capiscono è che la pietra angolare dell'Unione europea al commercio è il mercato unico, e quindi un'azienda deve essere in grado di vendere oltre quei confini internazionali”.

Se l’intento dei democratici che difendono l’emendamento è quello di annientare il dumping fiscale che si compirebbe a danno del fisco italiano e produrre un gettito di circa un miliardo di euro per risanare il debito pubblico, ridando in primis ossigeno all’occupazione del Paese, coloro che ritengono la manovra illegale secondo le leggi del Mercato Unico sono in tanti. Grillo ha persino richiamato il Trattato di Roma del ’57 per difendere la libera circolazione delle merci, che poi passino per i canali di Amazon o per quelli di BigG, fino al sistema d'aste di eBay (forse incluso nel provvedimento) è indifferente.

Sebbene il Ministro dell’ Economia Digitale francese, Fleur Pellerin, e la Gran Bretagna sostengano la manovra, qualora questa dovesse andare avanti ed essere votata come legge in Italia non tarderebbero le reazioni da parte delle autorità europee. Se non sarà così, il commercio italiano e l’economia del Paese subiranno un contraccolpo: sarà rischio involuzione.

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