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Google Zeitgeist: lo show di Larry Page ed Eric Schmidt

Google Zeitgesti 2011 ha avuto, per la prima volta, Larry Page come protagonista. E’ stato lui a comunicare a inserzionisti e investitori riuniti qual è la visione di Google e in che modo intende mantenere il “passo del tempo” e la posizione di dominio del mercato. Un’ottima prova per Page che, finalmente, comincia a prendere le fattezze del CEO.
A cura di Anna Coluccino
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larry page zeitgest

Google Zeitgeist è l'incontro annuale organizzato dalla compagnia di Mountain View per chiacchierare con i principali partners e investitori riguardo le condizioni del mercato, le possibilità di sviluppo di BigG e le (eventuali) minacce al suo dominio. Si tratta, come suggerisce il nome stesso dell'evento, del tentativo di cogliere lo spirito del tempo e di comprendere in che modo Google può modificare se stessa, evolvere, mutare… Tutto per restare in linea con il movimento del web, con il mercato tecnologico, e per non perdere la rotta.

In fondo la grandezza di Google sta proprio in questo: nel non essersi accontentata di quanto poteva ottenere dal solo motore di ricerca e nell'essere stata più che attenta a inserirsi nei settori giusti a tempo debito, con pochissimi passi falsi.

Ma questo Google Zeitgeist 2011 non sarà ricordato tanto per gli annunci altisonanti o per la capacità di offrire un'inedita lettura del momento vissuto dal mercato tecnologico, quanto per l'exploit di Larry Page che, finalmente, comincia a venir fuori dalla sua proverbiale ritrosia -la stessa che ancora caratterizza Sergey Brin, l'altro creatore di Google- e a comportarsi da CEO. Divertente, spigliato e stranamente prolisso (45 minuti sul palco sono il suo record personale), Page ha assunto tutt'altro piglio da quando, lo scorso Aprile, ha sostituito Eric Schmidt alla direzione di Google, comprendendo che più che l'atteggiamento da serio e compito "ingegnere", per essere CEO negli anni duemila occorre coltivare l'aria da leader affabulatore e ispirato, dotato di ironia ma -soprattutto- di quell'oratoria messianica e visionaria che ha fatto la fortuna di Steve Jobs.

Questo non significa che Larry si sia trasformato, in uno schiocco di dita, nel prototipo fatto e finito del capopopolo, ma ha evidentemente cominciato a lavorare sulla capacità di comunicare serenità, sicurezza e il giusto livello di arroganza, caratteristica immancabile di ogni CEO.

Sul palco Larry si diverte, parla di sé, della sua infanzia, racconta di quando -a 12 anni- si ritrovò a leggere l'autobiografia di Nicola Tesla; racconta del suo entusiasmo per quella lettura e di come lo avesse stimolato a diventare un inventore; racconta di come -una volta arrivato alla fine della storia- scoppiò in lacrime perché "si può essere il più grande inventore del pianeta e restare, comunque, un fallimento".

Dopo il monologo di Larry, arriva il momento topico: la salita di Eric Schmidt sul palco (la carica attualmente ricoperta dall'ex CEO è quella di Executive Chairman). Secondo una dinamica che sa di passaggio di testimone da padre in figlio, Schmidt si è seduto con Page per il momento Q&A, ovvero la fase di dibattito con il pubblico che ha riservato non poche sorprese. Si è parlato dell'affare Motorola, della questione brevetti (e Page ci ha tenuto a sottolineare come Google non abbia mai intentato cause contro chicchessia), di innovazione e della capacità di BigG di seguire i cambiamenti del mercato con estrema fluidità, modificando costantemente il volto dell'azienda senza mai tradirne lo spirito.

Non sono mancate frasi a effetto e stoccate ad altre compagnie, come nel caso di Microsoft, che Eric Schmidt ha definito "uno dei nostri ex competitor". Ma la battuta simbolo di questo Zeitgeist 2011 l'ha pronunciata proprio Page, il quale alla domanda: "Qual è la più grande minaccia a Google in questo momento?", ha offerto la miglior risposta che un CEO degno di questo nome possa dare, vale a dire "Google".

Una risposta come questa comunica assoluta sicurezza in se stessi e nei propri mezzi, è un po' come affermare che noi siamo la nostra unica preoccupazione, oppure sono gli altri che dovrebbero sentirsi minacciati da noi, non viceversa. In effetti, a pensarci bene, sia da un punto di vista "legale" (per via delle molte problematiche con l'anti-trust) sia dal punto di vista "produttivo" (nel senso che una compagnia come BigG, potenzialmente, potrebbe offrire soluzioni a qualunque cosa, ammesso che non abbia esaurito le capacità creative e non abbia perso l'entusiasmo dei suoi collaboratori) le peggiori minacce alla sopravvivenza di Google possono arrivare solo da suo interno.

Insomma, la sintesi dell'incontro di quest'anno che -per la prima volta- ha avuto per protagonista Larry Page è che i veri problemi per Google possono arrivare solo da Google.

Quanto vi convince questa visione?

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