Alla fine Groupon ce l’ha fatta: il debutto a Wall Street del sito di offerte giornaliere nato da un’idea di Andrew Mason che dal novembre 2008 propone beni scontati ha visto il titolo chiudere la prima giornata di contrattazioni, venerdì 4 novembre, a 26,11 dollari, pari ad un rialzo del 30,55% rispetto ai 20 dollari per azione del prezzo di collocamento. La decisione di Groupon di ridurre le sue pretese, lasciando una parte del guadagno ai primi investitori, sembra essere una delle componenti principali del ritrovato feeling del mercato con le aziende “social”, dopo che già LinkedIn lo scorso 19 maggio era sbarcata sul listino di New York con notevole clamore passando dai 45 dollari del collocamento ai 94,25 dollari del prezzo di chiusura della prima giornata di contrattazioni (nel frattempo il social network per professionisti ha presentato domanda per collocare ulteriori titoli sul mercato per 100 milioni di dollari, notizia che ha fatto chiudere a 82,65 dollari, in calo di quasi il 6% rispetto a giovedì e del 12,31% rispetto alla chiusura del venerdì precedente).
Inizialmente Mason sperava di strappare agli investitori una valutazione complessiva di 25 miliardi di dollari che avrebbe letteralmente stracciato l’offerta da 6 miliardi di dollari giunta nel dicembre dello scorso anno da Google e sdegnosamente rifiutata. In realtà Groupon, che col proprio sbarco sul listino americano ha raccolto 700 milioni di dollari (la maggiore Ipo collegata ad una dot.com statunitense dopo quella della stessa Google, che nell’agosto del 2004 raccolse 1,66 miliardi di dollari), si è dovuta “accontentare” di una valutazione iniziale di 12,75 miliardi, balzati a 16,65 a fine giornata.
Tutto bene? Per Mason, i suoi soci finanziatori e i pochi fortunati investitori che hanno sottoscritto il collocamento sicuramente, per tutti gli altri il bicchiere rischia di essere pieno solo a metà: per quanto robusto il rialzo registrato da Groupon al suo debutto è infatti inferiore a quello di altre dot.com come Yandex, il motore di ricerca russo che sempre a maggio ha raccolto 1,3 miliardi di dollari con la propria Ipo salendo del 55% il primo giorno di contrattazione (ma nel frattempo ha visto ridursi a solo il 14,2% i suoi guadagni dal prezzo dell’Ipo), o Zillow, un sito di compravendite immobiliari che ha segnato +79% il primo giorno di quotazione (che invece tuttora vale il 63% più del prezzo di collocamento).
A guardare bene si scopre così che uno dei fattori alla base del successo di tutte queste operazioni è il limitato numero di titoli messi a disposizione degli investitori: detta in altre termini, meno azioni vengono collocate, più alto il prezzo che si riesce a strappare e ancora più alto l’ulteriore crescita del titolo dopo il collocamento. Un “effetto-rarità” che poi rischia di svanire quando si procede al collocamento di ulteriori milioni di azioni per cercare di approfittare della corsa dei prezzi: LinkedIn ha infatti collocato in tutto 7,84 milioni di titoli (il 10% del proprio capitale), Zillow ne ha collocati 3,46 milioni (25%), Yandex 52,2 milioni (16,2%), Groupon 35 milioni (pari a poco più del 5% del proprio capitale).
Così per quanto il valore teorico delle società sia molto elevato, per gli investitori istituzionali americani (sostanzialmente i soli che riescono a investire in queste operazioni cifre consistenti) si tratta di investire frazioni del proprio capitale per accaparrarsi una possibile nuova stella del listino che si spera negli anni possa continuare a veder crescere il proprio valore. Per capirsi: al momento negli Stati Uniti solo i 5 maggiori fondi comuni specializzati in investimenti in aziende “high-tech” dispongono di un patrimonio gestito superiore ai 9 miliardi di dollari, mentre il patrimonio gestito complessivamente da questa categoria di fondi comuni è di oltre 12,65 miliardi. Un’operazione come quella di Groupon rappresenta dunque circa il 5,5% del patrimonio di solo questa categoria di operatori, ma il pubblico potenzialmente interessato è molto più vasto e comprende banche d’affari, broker, fondi di private equity che non abbiano avuto accesso alla fase di finanziamento iniziale della società ma vogliano scommettere sulla sua ulteriore crescita, ricchi investitori individuali.
Resta da capire, per Groupon come per tutte le altre Ipo “sociali” di quest’anno cui potrebbe aggiungersi a breve quella di Zynga (che forte dei suoi 204,6 milioni di utenti mensili complessivi nel frattempo è impegnata nel lancio di due nuovi social game, CastleVille e Dream Zoo, con cui spera di ripetere i successi di altri titoli anche per alleggerire la pressione di Electronic Arts e del suo The Sims Social, ormai a 37,1 milioni di utenti mensili, subito alle spalle di CityVille che ne registra tuttora 53,8 milioni), se queste quotazioni siano o meno sostenibili a lungo termine. La risposta, come sempre, starà nei numeri (di bilancio) che il management della società si dimostrerà in grado di produrre, individuando un business model profittevole e difendendolo dagli assalti della concorrenza. In fondo il signor Jeff Bezos dal 1997 è stato in grado di moltiplicare i 18 dollari chiesti per la quotazione iniziale di Amazon.com più volte fino agli attuali 216,48 dollari (dopo aver visto un massimo storico a 246,71 dollari lo scorso 14 ottobre in attesa della trimestrale) e non in molti ci avrebbero scommesso, una volta scoppiata la “bolla” speculativa della new economy di fine secolo scorso.