I dipendenti di Facebook contro l’azienda: “Sui tweet di Trump Mark sta sbagliando”
Sul razzismo non si può rimanere neutrali. Sono le parole pubblicate su Twitter in queste ore da un dipendente Facebook, che riflettono però la posizione di una nutrita schiera di colleghi nei confronti dell'azienda. Nei giorni scorsi Facebook ha infatti deciso di non applicare alcun filtro agli interventi social del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che nei giorni scorsi in merito alle proteste che stanno sconvolgendo il suo Paese ha utilizzato parole incendiarie.
La mancata reazione di Facebook ha provocato a sua volta un moto di scontento da parte degli impiegati dell'azienda — una vera e propria manifestazione di dissenso inedita — che ha coinvolto anche impiegati di alto livello e veri e propri manager.
Le parole di Trump
Tutto è iniziato con le parole utilizzate da Trump a commento delle proteste che si sono scatenate a Minneapolis (come del resto in tutto il Paese) in seguito all'omicidio di George Floyd, afroamericano morto soffocato durante un fermo dall'ufficiale di polizia Derek Chauvin. Il numero uno della Casa Bianca ha condannato i disordini in città anticipando l'invio di forze militari e minacciando di sparare sulla folla in rivolta.
Le dichiarazioni sono state pubblicate su Facebook e Twitter, ma la piattaforma di microblogging ha deciso di applicare un filtro all'intervento: pur senza censurarlo, lo ha reso non condivisibile spiegando che si tratta di un contenuto che incita alla violenza e che viola le linee guida del social.
Il contrasto Facebook-Twitter
L'intervento di Twitter si inserisce all'interno di un cambio di politica più interventista da parte del social nei confronti di contenuti tossici come fake news e diffusione dell'odio, ed è risultato particolarmente significativo in relazione alla mancanza di provvedimenti presi da parte di Facebook. Zuckerberg è intervenuto sulla questione spiegando che il dovere del suo social è quello di "garantire il massimo della libertà di espressione possibile a meno che questa non causi rischi o pericoli imminenti". Nella fattispecie il contenuto pubblicato da Trump includeva "preoccupanti riferimenti storici" (le espressioni utilizzate richiamavano alla repressione violenta delle comunità afroamericane di Miami, più di 40 anni fa) ma anche un'informazione utile, ovvero che il governo fosse sul punto di riversare l'esercito nelle strade.
La reazione dei dipendenti
La voce di molti impiegati del gruppo — solitamente riservati anche in caso di dissenso con l'azienda — questa volta non ha tardato a farsi sentire, allineata a quella dei critici. Per il numero uno del design di Facebook Portal "consegnare un megafono pronto a incitare la violenza e a diffondere disinformazione è inaccettabile, a prescindere da chi sia il destinatario e dal fatto che il contenuto del messaggio sia o meno una notizia".
Per il numero uno responsabile del design del Feed notizie "Mark ha torto, e mi impegnerò nel modo più fragoroso possibile per fargli cambiare idea". Per uno dei dipendenti del reparto ricerca e sviluppo, "Non fare nulla contro l'incitazione alla violenza negli interventi recenti di Trump è inaccettabile, e dentro Facebook non sono l'unico a pensarla così".
Il precedente
Il timore di alcuni è che dietro all'inerzia di Facebook possano esserci motivazioni ulteriori rispetto a quelle elencate da Zuckerberg. Pochi giorni fa il numero uno dell'azienda era apparso in prima persona su Fox News criticando Twitter per il modo in cui aveva gestito un altro intervento di Trump online. Il tema in questo caso era la diffusione di fake news: Twitter aveva legato il cinguettio in questione a una pagina di fact checking, mentre per Facebook su questi contenuti dovrebbero essere solo gli utenti a farsi un'idea del loro valore. Trump aveva reagito alla decisione di Twitter firmando un ordine esecutivo che nelle prossime settimane potrebbe restringere lo spazio di manovra online di tutti i social. L'ipotesi dei più critici nei confronti di Facebook è che il comportamento di Zuckerberg nella vicenda delle proteste a Minneapolis costituisca un ulteriore tentativo di tenere lontana la sua azienda dalle attenzioni del governo USA.