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Il Parlamento europeo vota contro Facebook e Google: “Stop alla pubblicità mirata”

In un emendamento al rapporto annuale sulla concorrenza dell’Unione approvato giovedì 18 giugno il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di impedire alle grandi piattaforme di proporre ai loro utenti annunci personalizzati, ovvero diversificati e basati sui gusti di ciascun singolo utente.
A cura di Lorenzo Longhitano
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La risoluzione che è stata votata in questi giorni al Parlamento europeo rappresenta un potenziale colpo al cuore delle attività in assoluto più remunerative in assoluto di colossi digitali come Google e Facebook: la vendita di pubblicità. L'emendamento al rapporto annuale sulla concorrenza dell'Unione approvato giovedì 18 giugno punta infatti a impedire alle aziende attive nel campo della pubblicità online di proporre ai loro utenti annunci personalizzati, ovvero diversificati e basati sui gusti di ciascun singolo utente.

La proposta è partita dal deputato socialista olandese Paul Tang e in realtà consiste in una semplice dichiarazione di intenti nella quale il Parlamento "chiede alla Commissione Europea di impedire alle piattaforme di mostrare inserzioni pubblicitarie personalizzate" ai loro utenti; d'altro canto però il rapporto così emendato è stato accolto da una maggioranza ampia dei parlamentari (503 su 701 i favorevoli).

Strumenti ovunque

Pur trattandosi di un primo passo, non è dunque un primo passo da poco. Per Google e Facebook infatti poter proporre pubblicità mirata agli utenti dei loro siti e servizi è fondamentale, tanto che i loro strumenti sono disseminati ovunque nella vita digitale del cittadino medio. A questo scopo Google sfrutta quasi ogni aspetto dell'uso del suo onnipresente motore di ricerca e degli smartphone Android — dagli spostamenti alle ricerche, passando alle app preferite. Facebook dal canto suo, oltre a poter contare sui like e sulle interazioni su Facebook e Instagram, dispone di strumenti come il Facebook Pixel — una piccola porzione di codice che molti gestori di siti web inseriscono nelle proprie pagine, e che permette all'azienda di Zuckerberg di seguire gli utenti del social anche al di fuori da Facebook e Instagram.

Competizione impossibile

La capacità di sapere se un utente è appassionato di cucito o di giardinaggio, quale serie TV preferisca e centinaia di altri dettagli che lo riguardano, è quel che differenzia Facebook e Google da altri servizi di distribuzione degli annunci pubblicitari. Con questa mole di informazioni i due colossi della Silicon Valley possono infatti assicurare agli inserzionisti di saper inoltrare i loro annunci a persone che potrebbero essere già interessate all'acquisto dei prodotti o dei servizi sponsorizzati, mentre i concorrenti non possono materialmente avere tutti gli indizi necessari a farlo. Questo vantaggio, oltre a fruttare l'83 percento dei guadagni di Alphabet (la casa madre di Google) e il 98,5 percento di quelli di Facebook, impedisce ad altre aziende di competere con i due giganti.

La privacy come merce

Ecco perché la proposta di provvedimento è arrivata nell'ambito del rapporto annuale sulla concorrenza, anche se in realtà rivela un doppio scopo. Da una parte c'è in effetti l'intenzione di tutelare la salute del mercato della distribuzione online di pubblicità — nel quale i concorrenti di Google e Facebook hanno ben poche speranze di prosperare di fronte ad avversari simili; la conseguenza secondaria ma altrettanto importante del provvedimento è quella di evitare che i dati personali degli utenti vengano, secondo le parole del promotore dell'iniziativa "utilizzati come una merce di scambio, in un modello pericoloso che interferisce con la privacy di tutti". Prima che una risoluzione simile diventi legge dovrà ancora affrontare numerosi passaggi presso le istituzioni europee, ma le intenzioni del Parlamento sono state espresse in maniera netta.

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