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Il sesto Internet Governance Forum è di scena a Nairobi

Si conclude il prossimo venerdì il sesto IGF. Governi, privati, società civile e mondo accademico sono chiamati a discutere del tema “Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione”. Vista la presenza di moltissimi stati “allergici” alla libertà del web, quali speranze ci sono che la discussione volga al meglio?
A cura di Anna Coluccino
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È cominciato ieri e terminerà questo venerdì la sesta edizione dell'Internet Governance Forum, il forum voluto dalla Nazioni Unite per favorire il dialogo politico nel merito delle questioni relative alla governance di Internet. Il forum vede la partecipazioni di governi, aziende private, società civile, comunità accademica e tecnica, ovvero tutti quanti hanno interesse a discutere la questione relativa al "controllo e gestione" della rete. La prima edizione avvenne nel mese di ottobre del 2006 e -da allora- l'evento si è ripetuto ogni anno. Lo slogan di questo nuovo appuntamento è "Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione", un titolo azzeccato visti i tempi e gli avvenimenti che hanno caratterizzato l'anno in corso. Ma si tratta pur sempre di uno slogan e, in quanto tale, parla del "cosa", non del come e del perché.

E allora i come e i perché ce li mettiamo noi. Tanto per capirci meglio.

Breve storia del Forum

L'IGF fu fortemente voluto da Kofi Annan, il quale, nel 2005, riuscì nella memorabile impresa di mettere pace tra il BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) e gli Stati Uniti, che all'epoca godevano di uno stretto controllo sull'ente internazionale no profit che si occupa di attribuire i domini (ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers). Da allora, i successi ottenuti dall'IGF sono stati notevoli, se si considera che le decisioni prese all'interno del Forum non sarebbero in alcun modo vincolanti per nessuno. Ciononostante, negli anni, le chiacchierate all'IGF hanno prodotto: una sensibile riduzione dell'esclusivo utilizzo della lingua inglese per la registrazione e l'accesso ai siti Internet, la svolta nell'adozione dell'Ipv6 che ha aumentato incredibilmente la scelta dei nomi di dominio, la creazione del dominio .XXX per segnalare in maniera inequivocabile i contenuti a luci rosse ed evitare che gli utenti finissero per visionare materiale sgradito.

Inoltre non è possibile dimenticare che tra le intenzioni del Forum c'era -e c'è- anche l'azzeramento del digital divide, ecco perché negli anni ha sempre avuto sede in paesi in via di sviluppo dal punto di vista della rete e non è da escludere che la presenza dell'IGF sia stato anche un propulsore nell'adozione delle nuove tecnologie e dei nuovi media; media che si sono rivelati poi fondamentali per lo scoppio della primavera araba.

Il cambiamento di panorama: i come e i perché

Nonostante i molti risvolti positivi, però, non ci vuole un esperto di politica internazionale per capire che se nel Forum ci sono paesi come la Cina (ovvero decisamente ostili a una rete libera e indipendente) una discussione su "Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione" che non ha prevede alcun vincolo per i partecipanti a rispettare le direttive dell'assemblea ha davvero poco senso. Se poi si considera che, ultimamente, moltissimi paesi -dalla Russia, al Brasile, agli USA, passando per la stessa Europa- sono a dir poco sul piede di guerra per quanto riguarda l'intenzione di censurare la rete e imbavagliare quanto più  possibile le voci scomode, il Forum di quest'anno rischia di trasformarsi in una specie di secondo eG8, ovvero di un incontro teso a trovare soluzioni per ingabbiare la rete in un reticolo di leggi e leggine che lo rendano controllabile e non -com'era presupposto dell'ONU- a lavorare perché l'accesso libero al Web diventi quel "diritto umano" di cui spesso le Nazioni Unite amano parlare ma senza che -poi- alle belle parola seguano dei fatti o, quantomeno, delle direttive di tipo impositivo e obbligatorie per tutti gli stati aderenti.

Non dimentichiamo che fu proprio Frank LaRue -osservatore ONU impegnato nella stesura di un documento che attestasse il livello di libertà della rete del mondo– a dichiarare che Internet era un diritto umano e che, in quanto tale, doveva essere garantito a qualsiasi livello; disse inoltre che tutti gli stati membri delle Nazioni Unite avrebbero dovuto impegnarsi a cancellare "quelle leggi che avallano la disconnessione degli utenti in seguito a violazioni di copyright" e che non era possibile accampare genere scuse riguardanti la "sicurezza nazionale" e il "pericolo di terrorismo" per applicare leggi censorie che, quasi sempre, hanno poco a che vedere con la persecuzione di un potenziale reato e molto con il desiderio di zittire fastidiosi oppositori.

Insomma, il rischio è che l'ONU si ritrovi (come accade in tutti i campi del suo agire economico-politico) a predicare bene per poi disinteressarsi del cattivo razzolamento dei suoi membri più potenti, con una conseguente perdita di credibilità agli occhi del mondo e il rischio di non aver più alcun peso politico nella risoluzioni di qualsiasi genere di conflitto.

Il punto è che le decisioni prese all'IGF dovrebbero essere impositive, così come per moltissime altre risoluzioni che -alla fine- si rivelano nulla più che un blando consiglio per i Golia e un obbligo per tutti i Davide di turno, con il consueto atteggiamento doppiopesistico che sta minando la ragion d'essere dell'Organizzazione.

[Se volete seguire l'evento LIVE o leggere le trascrizioni degli interventi, qui troverete tutto quanto occorre].

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