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Bitcoin e criptovalute

In Islanda non c’è più energia e la colpa è dei Bitcoin

L’altissimo consumo di energia dei super computer per la produzione della criptovaluta rischia di far restare l’Islanda al buio. L’allarme parte da HS Orka, grande azienda islandese che opera nel comparto energetico.
A cura di Enrico Galletti
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L'Islanda rischia di restare al buio. E questa volta c'entrano i Bitcoin. Il motivo, tanto inaspettato quanto allarmante, è legato all'altissimo consumo di energia per la produzione della criptovaluta. Come vi avevamo raccontato quando la "tendenza" dei Bitcoin aveva cominciato a dilagare, per coniare la valuta virtuale è necessario utilizzare computer potenti in termini di processori e di assetto interno. Questo, inevitabilmente, va a incidere sul consumo di energia: più il dispositivo è potente e dispendiose sono le operazioni per coniare la criptovaluta, più aumentano i consumi.

L'allarme per il caso islandese arriva da HS Orka, una grande e conosciuta azienda islandese che opera nel comparto energetico. Si parla di rischi davvero ingenti, in primis quello di restare al buio da un momento all'altro. “Se tutti i progetti d'installazione dei computer per il mining di Bitcoin verranno realizzati in Islanda, non avremo abbastanza energia” ha detto Johan Snorri Sigurbergsson, portavoce di HS Orka a suffragio dell'allarme scoppiata proprio in queste ore.

L'Islanda si serve per la quasi totalità del fabbisogno energetico di fonti rinnovabili. E sono proprio i proventi di queste sorgenti naturali che potrebbero incrociare le braccia da un momento all'altro e non essere più in grado di far fronte all'eccessiva richiesta di energia. Secondo una stima, infatti, sarà di circa 840 gigawatt-ore il consumo dei super computer per il mining, considerate anche le necessarie tempistiche di raffreddamento. Un dato che fa preoccupare, se si pensa che l'attuale consumo islandese (dato dalle necessità delle famiglie) si aggira intorno ai 700 gigawatt-ore.

La conseguenza di questo allarme è stato un innalzamento di scudi sulle aziende che hanno manifestato l'intenzione di installare computer eccessivamente dispendiosi per coniare la criptovaluta. Si guardano, in particolare, le previsioni di consumo, ma soprattutto si cerca di monitorare le attività a lungo termine. A far preoccupare, non solo gli addetti ai lavori, è anche il fatto che la produzione di Bitcoin sia sostanzialmente autonoma e richieda la presenza di pochissimo personale. Non si può dunque sperare che l'aumento dei consumi energetici venga in qualche modo compensato da un incremento dell'occupazione nazionale.

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