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Jony Ive sull’etica di Apple: “Abbiamo delle responsabilità nei confronti delle persone”

Il numero uno del design Apple ha risposto alle domande del Financial Times coprendo diversi argomenti cari all’azienda — come lo spostamento di massa presso l’Apple Park e le responsabilità che ogni azienda dovrebbe avere nell’immaginare le conseguenze dell’adozione dei propri prodotti — e senza rinunciare a un paio di frecciate.
A cura di Lorenzo Longhitano
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jony Ive steve jobs

Negli scorsi giorni il capo del design di Apple, Jony Ive, si è sottoposto a un'intervista con il Financial Times. Ive è in Apple dal 1996 (ovvero da prima del ritorno di Steve Jobs alle redini) e ha sull'azienda una prospettiva unica che deriva sia dalla posizione che ricopre, sia dal tempo passato al suo servizio. Il colloquio in realtà non ha svelato niente di nuovo su Apple né sui prodotti che sta sviluppando, ma è risultato ugualmente ricco di spunti, un'occasione per Ive di coprire alcuni argomenti e tornare su alcuni temi che stanno a cuore all'azienda, come il trasferimento di massa dei dipendenti del gruppo presso il recente Apple Park e molto altro.

"La nostra è stata una delle ultime squadre a essersi spostata ed è stato un evento non da poco, perché ha significato lasciare uno studio con decenni di storia alle spalle dove abbiamo ideato e costruito svariati prototipi; è qui che sono tornato il giorno in cui Steve è morto, ed è qui che insieme abbiamo immaginato l'iPhone e l'iPod". La convivenza di una parte così cospicua della forza lavoro del gruppo all'interno dell'Apple Park però secondo Ive porterà risultati strabilianti in termini di sinergia: "Sono abbastanza sicuro nell'affermare che si tratta di qualcosa di inedito".

Ive è anche entrato nel merito di uno dei discorsi più cari alla Apple degli ultimi anni, ovvero la responsabilità che le aziende dovrebbero avere nell'immaginare le conseguenze che l'adozione dei loro prodotti può avere sul lungo periodo: "Se hai sinceramente a cuore i tuoi simili non puoi non preoccuparti di questo. Credo sia parte della cultura Apple credere che le nostre responsabilità non si limitino al momento in cui mettiamo in commercio un prodotto".

Parlando proprio di prodotti il discorso si è fatto inevitabilmente meno personale. Sulle dichiarazioni di Apple sul fatto che Apple Watch si sia dimostrato l'orologio più venduto al mondo, Ive ha commentato che secondo lui il gadget non andrebbe neppure considerato un orologio: "Abbiamo avuto lo stesso problema con il prodotto che poi abbiamo finito per chiamare iPhone: era chiaro dall'inizio che le sue potenzialità si estendessero ben al di là di ciò che chiameremmo comunemente telefono. Credo che Apple Watch sia un computer molto potente, dotato di una serie di sofisticati sensori e allacciato al mio polso; ma come descrizione non è particolarmente funzionale né utile".

E quando è scattata la domanda sulla fantomatica Apple Car, non sono emersi dettagli significativi. Anzi: Ive ha approfittato del gancio per lanciare una frecciata alle aziende che utilizzano i propri sforzi in materia di ricerca e sviluppo come materiale promozionale: "Noi non lo facciamo. Se stai lavorando davvero su qualcosa è meglio mettertici d'impegno e concentrare le energie sugli inevitabili problemi e sfide posti dal progetto, piuttosto che sul parlarne. Le nostre idee e le tecnologie che sviluppiamo sono il nostro patrimonio e il nostro valore; per questo è importante che rimangano di nostra esclusiva proprietà il più a lungo possibile, ovvero provare a posticipare il momento in cui verranno inevitabilmente copiate".

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