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La censura cinese, online droga, armi e prostituzione ma non il New York Times

Nonostante il controllo serrato della rete da parte del governo, il deep web cinese offre agli utenti una vastissima gamma di prodotti e servizi del tutto illegali. Eppure l’informazione straniera continua ad essere il nemico numero uno della censura.
A cura di Angelo Marra
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"La penna è più potente della spada" era solito affermare Edward Bulwer-Lytton, il celebre poeta inglese, e mai come nel caso della censura in Cina questa affermazione trova piena applicazione. Sì, perchè nella terra del colosso asiatico dove il governo controlla con una censura inumana ogni bit trasferito in rete, si può osservare il paradosso per cui con pochi click è possibile acquistare armi o droga in rete ma non leggere il New York Times o effettuare una ricerca su Google.

Il doppiopesismo dell'amministrazione Jintao è sagacemente riassunto da Nicholas Kristof, già Premio Pulitzer e corrispondente del NYT, che ha esplorato (nemmeno troppo approfonditamente) il cyber spazio mandarino, scoprendo come la censura governativa soffra di atipiche e colossali falle. In pochi giorni Kristof ha potuto appurare come in rete siano facilmente acquistabili pistole ed armi semiautomatiche, svariati tipi di stupefacenti e prestazioni sessuali a pagamento, "prodotti e servizi" che in teoria sarebbero illegali.

Per gli utenti occidentali, il fatto che la rete offra queste "possibilità" non stupisce più di tanto ma appare quantomeno curioso se contestualizzato in una nazione che ha fatto della censura e del controllo capillare della rete uno dei suoi aspetti peculiari. Se acquistare una calibro 38, un pacco di anfetamine o la compagnia di un'avvenente signorina risulta un'operazione abbastanza semplice infatti (Kristof ha naturalmente appurato solo la presenza dei prodotti in rete, senza provare a comprare qualcosa), molto più difficoltoso – se non impossibile – risulta l'accesso alle testate internazionali bandite dal regime, come il New York Times oppure Bloomberg.

Le autorità ovviamente condannano ufficialmente il traffico e la vendita di armi e droga, eppure la Gestapo dagli occhi a mandorla sembra molto più concentrata nell'impedire agli utenti l'accesso all'informazione sgradita al regime, piuttosto che nel limitare certi traffici illeciti. Non si tratta però solo di una strategia di conservazione del potere o del tentativo di isolare il paese dal resto del mondo, rendendolo immune alle idee ed ai principi democratici occidentali (quelli reali, non quelli "esportati").

Sempre più frequentemente la censura cinese ha operato non tanto per tutelare i valori della Repubblica Popolare, quanto quelli personali di alcuni alti esponenti della nomenclatura mandarina. Basti pensare al Times o a Bloomberg, due testate non gradite al regime non tanto per la loro aderenza ai principi del capitalismo occidentale quanto per alcuni articoli sui benefici finanziari ottenuti da alcuni esponenti del governo grazie alla loro posizione. Un argomento molto più delicato (e sgradito) delle eventuali rivendicazioni del Tibet e di certo di gran lunga più scabroso di qualche pasticca acquistata in rete.

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