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La Cina censura Linkedin dopo la “Rivolta dei Gelsomini”

Dopo le proteste accennate la scorsa domenica in Cina, fa discutere l’ennesima censura imposta dal Governo di Pechino sull’uso delle tecnologie informatiche: dopo Facebook, Twitter e Youtube, anche l’accesso a Linkedin è stato bloccato…
A cura di Mario Maaroufi
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Più che una rivolta è stata un grande bluff, visto che il 20 febbraio scorso  di fronte al McDonald's di Wanfuji si sono presentati solo in pochi, tra cui l'ambasciatore americano a Pechino Jon Huntsman. Insomma, quella che doveva essere la "Rivolta dei Gelsomini"  non ha fatto altro che rendere ancora più acceso il già diffuso sentimento anti-americano tipicamente cinese.  Il Governo è riuscito ad avere la meglio per l'ennesima volta, soffocando ogni accenno di rivoluzione e portando via con discrezione ogni eventuale dissidente. Come ha sempre fatto, attraverso un sistema ormai collaudato che protegge la Cina del Partito Popolare Cinese da ogni attacco esterno.

E così, la Rivolta dei Gelsomini è finita non con un successo per la popolazione ma con l'innalzamento del livello di censura applicata dal Governo. Se prima i vari social newtwork come Facebook e Twitter erano già finiti sotto il mirino (e l'efficacia) del Grande Firewall Cinese, adesso anche Linkedin è stato ufficialmente bloccato.

Il motivo? Perché consentirebbe agli utenti di accedere agli account Twitter, come fatto da Jasmine Z, uno dei principali promotori della rivolta di domenica scorsa, ispirata alle crisi nei paesi del Nord Africa. Sta di fatto, però, che non tutta la popolazione cinese è in grado di capire l'importanza di una simile protesta, soprattutto a causa di una buona situazione sociale. Pechino ha sempre adottato dei piani quinquennali che comprendono al loro interno metodi di ridistribuzione del reddito tra le masse popolari, alleggerendo la percezione del problema. Che, allo stato attuale delle cose, sta principalmente nella mancata libertà d'espressione…

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