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La ex dipendente accusa Facebook: “Diffondono odio di proposito”

In un’intervista alla trasmissione britannica 60 Minutes, una ex dipendente di Facebook ha affermato senza mezzi termini che il gruppo è disposto a incoraggiare la diffusione di odio online pur di continuare a fare profitti, e che quando i dirigenti si sono trovati a scegliere tra gli interessi della piattaforma e quelli degli utenti, hanno scelto i primi.
A cura di Lorenzo Longhitano
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facebook chip processore

Nei giorni scorsi sono trapelati online alcuni documenti interni a Facebook che hanno rivelato pratiche e posizioni controverse all'interno del gruppo guidato da Mark Zuckerberg, soprattutto in fatto di contrasto alle fake news e tutela dei giovani utenti. Facebook ha sempre negato ogni addebito, ma nelle scorse ore a dare sostanza alle accuse si è esposta direttamente la fonte che ha fatto emergere i documenti dei giorni scorsi: una ex dipendente del gruppo, che in un'intervista alla trasmissione britannica 60 Minutes ha affermato senza mezzi termini che il gruppo è disposto a incoraggiare la diffusione di odio online pur di continuare a fare profitti.

Le accuse al social

La donna risponde al nome di Frances Haugen, e per il social ha lavorato in qualità di ingegnere informatico e di responsabile prodotto in una divisione dedita alla tutela dei processi civici. La sua ricostruzione dei problemi di Facebook in fatto di istigazione all'odio è quella già ipotizzata da numerosi ricercatori che si sono confrontati con il tema. Gli algoritmi del social mostrano nuove notizie e contenuti in base agli interessi manifestati in precedenza, con uno scopo ben preciso: far sì che le persone interagiscano di più con quel che vedono.

Il problema è che i contenuti maggiormente in grado di generare reazioni forti sono quelli pensati per provocare indignazione e paura: dalle fake news che fomentano intolleranza alle vere e proprie istigazioni all'odio – sono questi i post sui quali si riversano i contenuti e si concentrano le ricondivisioni.

"Fanno profitti mettendoci in pericolo"

Maggiori sono le interazioni che avvengono sulla piattaforma e maggiori sono i dividendi di Facebook, che con le statistiche relative a queste misurazioni può aumentare i prezzi degli spazi pubblicitari che vende agli inserzionisti. Questa valutazione – ha raccontato Haugen – si è scontrata più volte nell'azienda con l'esigenza di proteggere gli utenti dagli eccessi di un meccanismo potenzialmente pericoloso per utenti e società.  "C'è sempre stata una netta differenza tra ciò che era preferibile per il pubblico e ciò che era preferibile per Facebook", ha affermato Haugen. "E Facebook ha scelto più e più volte di ottimizzare il funzionamento della piattaforma per favorire i suoi stessi interessi – ad esempio per fare più soldi. Stanno pagando i loro dividendi con la nostra sicurezza".

La risposta di Facebook

Il social dal canto suo ha fatto sapere di continuare a operare "significativi miglioramenti" per arginare la diffusione dei contenuti d'odio. C'è però un errore concettuale in questo genere di difesa: qualunque azione possa intraprendere Facebook per risolvere il problema della diffusione dell'odio su Facebook, si tratta di un problema legato all'esistenza stessa di Facebook. Gli individui che gestiscono il social insomma hanno e avranno sempre il potere di ridurre a zero il fenomeno – se non altro con interventi drastici. Se questo non accade, è nel tentativo di preservare la piattaforma e il suo valore economico.

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