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La lettera aperta di Wikileaks per difendere il diritto di pubblicare

In rete sta circolando, con ampi consensi, una lettera aperta in difesa di Wikileaks e del suo fondatore Julian Assange.
A cura di Giovanna Di Troia
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In rete sta circolando, con ampi consensi, una lettera aperta in difesa di  Wikileaks e del suo fondatore Julian Assange. Anche lastampa.it la ripropone attraverso un link all’interno del suo articolo online. Tale lettera promuove primariamente il diritto di informare, e di conseguenza di pubblicare e far sapere e rendere cosciente l’opinione pubblica di ciò che accade nel mondo, e soprattutto per quanto riguarda questo caso specifico.

Nella lettera si può leggere anche che “Il primo dovere dei giornalisti è ovunque per far avanzare la causa della comprensione, non per assistere i governi e i forti interessi nel sopprimere le informazioni e mai a rinviare alle abitudini radicate di segretezza.”

Sebbene tenendo in ampia considerazione libertà di stampa, diritto all’informazione, della privacy individuale, nella lettera viene dichiarato esplicitamente dell’ importanza della pubblicazione di documenti diffusi tramite fuga di notizie. Infatti, questi hanno il merito di far luce “sul comportamento dei governi e delle corporazioni nel mondo moderno”. Inoltre, viene sottolineato che “Wikileaks ha reso al mondo un grande servizio. Denunciamo vigorosamente le minacce di morte e le persecuzioni criminali del suo direttore per aver pubblicato, insieme con molte altre organizzazioni in tutto il mondo, informazioni che sono chiaramente di interesse pubblico.”

Per quanto riguarda il ricorso presentato dai legali di Assange contro la sua estradizione in Svezia  se ne saprà qualcosa solo il 12 e 13 luglio prossimo, data prevista in cui se ne discuterà a Londra.

Mentre dal “fronte” del soldato ventitreenne Bradley Manning, non ci sono buone nuove, ma le acque internazionali iniziano a ribollire. Il governo britannico ha mostrato estrema preoccupazione a Washington per le condizioni di salute del suo connazionale, infatti il giovane soldato è di origine gallese ed ha anche la doppia cittadinanza statunitense-britannica.

Infatti, lo scorso 29 marzo una telefonata ufficiale dall’ambasciata britannica giunge al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Ma per la causa del giovane Manning sono intervenute anche diverse organizzazioni umanitarie internazionali, tra cui Amnesty International.

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