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La morte di George Floyd è diventata una terribile challenge: ora i social cercano di bloccarla

Le circostanze della morte del quarantaseienne afroamericano George Floyd hanno causato indignazione e proteste in tutti gli Stati Uniti, e non solo. Per una minoranza di irresponsabili però l’uccisione è diventata lo spunto per una sfida social che mira a ricreare il momento, e che ora i social stanno cercando di arginare.
A cura di Lorenzo Longhitano
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La vicenda di George Floyd, morto soffocato a Minneapolis dopo un fermo effettuato dalla polizia, sta provocando da giorni proteste negli Stati Uniti e indignazione in tutto il mondo. Oltre ad aver risvegliato le coscienze di milioni di persone in tutto il mondo, sfortunatamente il tragico evento è stato sfruttato da una sparuta minoranza di irresponsabili come spunto per una sfida social — battezzata George Floyd Challenge — che ora le piattaforme online stanno cercando di arginare.

Cos'è la George Floyd Challenge

La prova richiede la presenza di due persone e prevede di farsi immortalare proprio nell'atto che è costato la vita al quarantaseienne statunitense, ovvero con uno dei due soggetti in piedi a recitare la parte dell'agente di polizia Derek Chauvin e premere con il ginocchio sul collo dell'altro, forzato a terra.

La formula della challenge è quella divenuta ormai classica nel panorama social, nella quale gli utenti si sfidano l'un l'altro a ripetere la stessa posa o coreografia reinterpretandola in modo originale. Si tratta di una tipologia di contenuto molto popolare sulle piattaforme di condivisione, che ha dato principalmente vita a fenomeni creativi e benefici, ma che di quando in quando ha originato anche comportamenti pericolosi, fino all'aberrazione di queste ore.

Il meccanismo virale delle challenge

La capacità di diffusione delle challenge — che partono da un singolo utente e vengono spesso raccolte in breve tempo da migliaia — ha sempre reso difficile per i social network arginare i fenomeni più pericolosi: nel nome di queste sfide, persone di ogni età hanno ingerito capsule di detersivo, guidato bendate, abbandonato auto in corsa e molto altro.

In molti di questi casi i gestori delle piattaforme sono intervenuti con la rimozione dei contenuti pubblicati, ma lo hanno sempre fatto inevitabilmente in ritardo — principalmente perché non è possibile prevedere cosa darà vita a una nuova sfida pericolosa, insulsa o assurda, né tantomeno quali saranno le parole chiave che la contraddistingueranno.

È quello che è successo anche con la George Floyd Challenge, il cui materiale si è diffuso su Snapchat, Facebook, Instagram, Twitter e TikTok. L'hashtag correlato — #GeorgeFloydChallenge — è stato automaticamente bloccato su Facebook e Instagram per violazione del regolamento delle varie piattaforme, mentre rimane consultabile su TikTok dove però la maggior parte dei contenuti caricati si dedica a denunciare l'accaduto. Alcune delle foto e dei video incriminati però sono ancora disponibili online, e la loro rimozione richiederà un lavoro di ricerca più sofisticato da parte dei social coinvolti.

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