La Silicon Valley non è l’America: nuove migrazioni, vecchi sogni
Nel corso della vostra esistenza avrete certamente sentito moltissime persone dire "ha trovato l'America". Si tratta, lo sappiamo tutti, di un semplice modo di dire che si riferisce all'idea di essere approdati in una sorta di paradiso terrestre; un'espressione che deriva dagli anni delle grandi migrazioni, quando migliaia di italiani arrotolavano i pochi averi in qualche misera valigia dalla dubbia resistenza e si imbarcavano in terza classe (ove non in quarta) per raggiungere il sogno, l'Eldorado, il luogo mitico che avrebbe messo fine a tutte le sofferenze: l'America. Ma una volta approdati nel Nuovo Mondo, gli italiani si accorsero molto presto che l'America (così come loro se la immaginavano) era poco più che un'idea, una proiezione, una fantasia alimentata dalle lettere di chi aveva raggiunto il presunto Eldorado ma poi si vergognava di scrivere d'aver fatto tanta strada per star peggio di prima, per essere trattato come un reietto o, peggio, come un criminale. Ed ecco che scriveva "tutto bene, posto incantevole, sto diventando ricco", altri lo raggiungevano, in preda della medesima illusione e così via… Fino ad arrivare al 2011 e ritrovarsi ancora tra le mani la medesima fantasia, una fantasia che oggi non si chiama più genericamente "America" ma Silicon Valley.
Ma perché ci stai raccontando cose che sappiamo già (direte voi) abbiate un po' di pazienza (dico io) adesso ci arrivo.
Qualche giorno fa, e precisamente il 17 febbraio, quando Obama incontrò Jobs e gli altri top manager della Silicon Valley, Robert X. Cringely, giornalista statunitense esperto di informatica e nuovi media, ha pubblicato un articolo in cui affrontava una problematica tanto semplice quanto sostanziale: gli Stati Uniti non sono la Silicon Valley. L'ecosistema imprenditoriale, economico e finanziario presente nella più celebre vallata tech del mondo non rappresenta quello dell'intero Nord America, nella maniera più assoluta, ma, soprattutto, quell'ecosistema non può essere replicato anche altrove così come si replica una ricetta culinaria. Gli ingredienti che compongono la "torta Silicon Valley" non sono reperibili ovunque, e non basta mescolarli insieme per ottenere tanti bei piccoli cloni della valley californiana. Gli Stati Uniti vivono un periodo di enorme depressione ed anche lì, come nel nostro paese, gli investimenti sono diminuiti, i venture capitalist si sono fatti cauti e nessuno ha più tanta voglia di scommettere ma solo di "conservare".
L'essenziale differenza d'approccio che distingue la Silicon Valley dal resto del mondo è che lì la decisione di mettere in piedi una Startup precede l'idea: si sceglie di metter su un'impresa, si selezionano persone di talento, si trovano gli investitori e poi ci si fa venire in mente una bella idea. Ma questo sistema non funzionerebbe in nessun altro posto al mondo! E soprattutto non adesso.
Ma io vorrei fare ancora un passo oltre: non solo gli USA non sono la Silicon Valley, ma neppure la Silicon Valley, ora, è all'altezza del mito di se stessa. Certo, la situazione californiana è sicuramente anomala in senso positivo, ci sono mezzi e possibilità, ma anche il suo ecosistema è stato colpito dalla crisi, non dimentichiamo l'annus horribilis che è stato il 2009, la regione perse 90.000 posti di lavoro e la disoccupazione superò addirittura la media nazionale, e il 2010 non ha certo brillato in questo senso, anzi. Cosa ci assicura che il 2011 sarà l'anno della rinascita? Perché si continua a guardare alla Valley come se fosse l'unico luogo al mondo avulso dal tempo e dallo spazio dove tutto funziona e chiunque abbia una buona idea ha la possibilità di riscattarsi e diventare ricco? Le cose non stanno così, e se non ce ne rendiamo conto sufficientemente in tempo rischiamo di arrotolare, ancora una volta, i nostri pochi averi e le nostre belle speranze in una valigia, per poi volare in seconda classe verso l'Eldorado e finire a scrivere lettere alla mamma, raccontando di verdi pascoli ricolmi di dollari e del sogno che finalmente diventa realtà. Il tutto mentre serviamo hamburger al MacDonald e i nostri cugini italiani già si preparano a raggiungerci con il cuore colmo di vibrazioni positive e la convinzione di "trovare l'America". Finalmente.