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Le azioni LinkedIn volano: il rischio di bolla non spaventa i risparmiatori

Il titolo LinkedIn (LKDN) ha appena fatto il suo esordio in borsa e, al momento, le azioni vengono scambiare a ben 85.99 dollari. Vale a dire l’84% in più rispetto all’IPO inziale -pari a 45 dollari per azione.
A cura di Anna Coluccino
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Il rischio di bolla speculativa non spaventa (ma dovrebbe).

Il titolo LinkedIn (LKDN) ha appena fatto il suo esordio in borsa e, al momento, le azioni vengono scambiare a ben 85.99 dollari. Vale a dire l'84% in più rispetto all'IPO inziale -pari a 45 dollari per azione. E se si considera che il prezzo era già stato ritoccato al rialzo appena due giorni prima della quotazione (le azioni avrebbero dovuto essere scambiate a 35 dollari) è facile notare come il mercato sia preda di quello stesso genere di ingiustificato entusiasmo che ha portato all'esplosione della celebre bolla dot.com alla fine degli anni novanta.

Al momento, LinkedIn ha deciso di mettere a disposizione dei risparmiatori ben 7.48 milioni di azioni e, stando a quanto sostenuto dagli analisti e riportato dal Wall Street Journnal, si tratta della più grande Internet IPO dai tempi di Google Inc.

Insomma, nonostante i numerosi allarmi e la diffusa consapevolezza della possibile (e relativa) "inconsistenza" dei titoli legati al social web, gli investitori sembrano del tutto incantati dalla possibilità di poter, finalmente, entrare a fare parte del business del web 2.0. E se questa è stata l'accoglienza riservata ad un social network come LinkedIn, non vogliamo neppure immaginare cosa accadrà quando a quotarsi saranno colossi come Facebook, Groupon e Zynga.

Certo, se diamo un'occhiata ai numeri che LinkedIn porta in dote, la situazione non appare poi così tragica. Basti pensare che, nel 2010, i ricavi del social network hanno raggiunto i 243 milioni, con un utile netto di 15.4 milioni. Solo un anno prima, LinkedIn subiva una perdita di 4 milioni. Considerando, poi, che il primo trimestre del 2011 si è chiuso con un utile di ben 2 milioni in più rispetto all'utile ottenuto nel medesimo trimestre dell'anno precedente, ci sono buone ragioni per sperare che le cose continuino ad andare bene.

Peccato che "bene" non sia sempre sufficiente e non corrisponda, necessariamente, ad un guadagno commisurato alla spesa. Specie se si è compiuto l'errore di sovrastimare le possibilità di ricavo di una compagnia.

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