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Libertà della Rete, l’89% degli utenti è sotto sorveglianza: “Colpa dei social”

Secondo l’ultimo rapporto di Freedom House la diffusione dei social network ha reso più semplici le operazioni di sorveglianza e di manipolazione delle opinioni da parte di governi e attori politici. Un tempo lodate per la loro capacità di dare voce a chi non ne ha, oggi rischiano di farsi strumenti di oppressione.
A cura di Lorenzo Longhitano
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I social network hanno sicuramente migliorato la vita di molti sotto numerosi aspetti, ma nascondono rischi per la democrazia che non vanno sottovalutati. In questi ultimi mesi ce ne stiamo accorgendo ogni giorno che passa — tra fake news e campagne d'odio online che si diffondono proprio attraverso i social — ma a certificarlo ci ha pensato in queste ore l'ultimo rapporto di Freedom House, secondo il quale i social ormai rappresentano veri e propri sistemi di sorveglianza, sfruttati tanto dalle forze politiche illiberali quanto da quelle democratiche per sorvegliare i propri cittadini. Nel mirino di questa colossale operazione di controllo a mezzo social — ammonisce il rapporto — finirebbe ben l'89% degli utenti di Internet.

Il rapporto di Freedom House racconta che 40 dei 65 Paesi esaminati hanno messo in piedi una infrastruttura di controllo avanzata delle piattaforme social — coprendo un totale di iscritti pari a circa 3 miliardi di persone. In 38 Paesi è avvenuto invece che leader politici impiegassero individui od organizzazioni per manipolare le opinioni politiche online attraverso campagne di disinformazione, un record rispetto agli anni precedenti.

I punti deboli delle piattaforme social del resto sono ormai noti fa tempo. Lodate da sempre per la loro capacità di permettere a sconosciuti di conversare, confrontarsi e unirsi per una giusta causa, sono governate da meccanismi che ormai sono diventati eccessivamente semplici da ingannare da parte di chi ha intenzione di approfittarne. Condividere online commenti e Mi Piace significa metterli a disposizione di governi che in alcuni paesi come Cina e Iran dispongono di armate di decine di migliaia di volontari votati a controllarli in cerca di contenuti sovversivi o problematici. E anche quando queste informazioni sono protette dalle impostazioni sulla privacy, i social le utilizzano per fornire ai loro utenti notizie e contenuti ad hoc secondo algoritmi che però rischiano di estremizzare opinioni, polarizzare dibattiti, favorire discriminazioni e intossicare il clima politico.

Il rapporto assegna ai vari Paesi lo stato di libero, parzialmente libero e non libero sulla base di un punteggio ottenuto da tre fattori: ostacoli all'accesso alle piattaforme, limitazioni sulla pubblicazione dei contenuti e violazioni dei diritti degli utenti. Si tratta di una valutazione annuale, che quest'anno a livello globale è risultata in declino rispetto all'anno scorso in una tendenza che ormai non si arresta da nove anni.

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