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L’inquietante esperimento di riconoscimento facciale: identificati per strada giornalisti e lobbisti

Il collettivo Fight for the Future ha seminato degli attivisti nelle strade di Washington DC per registrare i volti dei passanti e confrontarli con quelli presenti in una banca dati preesistente. L’atto dimostrativo serve a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’assenza di leggi a protezione della raccolta indiscriminata di questo tipo di dati.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Quando si parla di riconoscimento facciale su suolo pubblico spesso vengono in mente la Cina e i suoi sistemi di sorveglianza basati su intelligenza artificiale, ma la realtà è che il rischio che sistemi simili si diffondano rapidamente in tutto il mondo non va sottovalutata. A renderlo chiaro c'è l'atto dimostrativo intrapreso dagli attivisti di Fight for the Future, che nei giorni scorsi hanno potuto tranquillamente aggirarsi per le strade di Washington DC muniti di uno smartphone fissato sulla fronte e di un abbigliamento decisamente bizzarro: una tuta da laboratorio e un avviso grafico che avvertiva i passanti delle operazioni di "riconoscimento facciale in corso".

Nel corso dell'operazione le fotocamere degli smartphone hanno ripreso i volti dei passanti inquadrati, mentre un software specializzato analizzava le immagini riprese con uno scopo preciso: confrontare i volti rilevati con una banca dati preesistente ed isolare in tempo reale i soggetti dei quali veniva trovata una corrispondenza. Durante l'esperimento gli attivisti hanno registrato 12000 volti anche se – trattandosi di un atto dimostrativo – la banca dati utilizzata da Fight for the Future consisteva di una lista di volti piuttosto ristretta e composta da giornalisti, lobbisti Amazon e membri del congresso. Il semplice fatto che gli attivisti siano riusciti nella loro impresa è però sintomo di due problemi che occorrerà presto affrontare.

Da una parte il software impiegato per il riconoscimento facciale è realizzato da Amazon, si chiama Rekognition ed è uno strumento che la società mette a disposizione di chiunque come parte dei suoi Amazon Web Services: grazie a questa tecnologia chi lo desidera può insomma mettere la potenza di calcolo del colosso al servizio dei propri interessi personali, anche quando questi interessi confliggono con la privacy di cittadini in un luogo pubblico. Gli ostacoli tecnici nel realizzare un vero e proprio sistema di sorveglianza (a cominciare dalla costruzione di una banca dati con la quale confrontare i volti registrati) non sono semplici da aggirare, ma i software per effettuare questi calcoli in massa già esistono e possono essere utilizzati da governi, forze dell'ordine e non solo.

D'altro canto – ed è su questo punto che si concentra la denuncia di Fight for the Future – una simile raccolta a strascico di dati biometrici non è al momento illegale. Tralasciando la Cina dove il riconoscimento facciale di massa è ormai realtà, solamente alcune città negli Stati Uniti si sono dotate di normative che impediscono di effettuare operazioni simili sul suolo pubblico, mentre in Europa di leggi simili si sta ancora solamente parlando; nel Regno Unito anzi sistemi di videosorveglianza collegati ad algoritmi di machine learning sono stati già impiegate dalle stesse forze dell'ordine, peraltro con risultati preoccupanti.

Il messaggio del collettivo è chiaro: il riconoscimento facciale è già una realtà che minaccia riservatezza e libertà dei cittadini in tutto il mondo. L'appello – rivolto ai cittadini statunitensi – è a spingere i propri rappresentanti al Congresso a porre dei limiti a questa attività; in Europa le speranze sono riposte invece nelle attività del Parlamento Europeo, che in questi mesi dovrebbe essere al lavoro su una normativa che parta dalle già esistenti tutele garantite dal GDPR in fatto di privacy per concentrarsi sulle implicazioni etiche dei sistemi di intelligenza artificiale e del loro impiego da parte di forze dell'ordine e soggetti privati.

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