Olipad Olivetti: l’ultimo nato d’una stirpe centenaria
Neppure Camillo Olivetti avrebbe mai potuto immaginare che il futuro della sua amata azienda si sarebbe giocato sul successo di un oggettino grande quanto un libro e sottile come un magazine. Un oggetto che, fino a due anni fa, sembrava essere destinato a rimanere in soffitta, ad ingrossare le fila delle idee che non avevano funzionato. Poi è arrivato Steve Jobs. Un uomo capace di reinventare -letteralmente- il mercato dei tablet, ed ecco che ora nessuna azienda sembra poter fare a meno di sviluppare la sua, personalissima, versione dell'iPad.
La storia della Olivetti, però, è immensamente più antica di quella della Apple e, pur non volendo azzardare paragoni, possiamo dire senza tema di smentita che è una di quelle storie appassionate di cui il nostro paese dovrebbe andare orgoglioso, al di là del mancato lieto fine.
D'altronde, le vicende della Olivetti non si sono mai realmente concluse, e questi anni bui potrebbero essere stati solo un banco di prova, una pausa durata quasi vent'anni, un lungo momento di difficoltà prima di tornare, in pompa magna, a scrivere la storia della tecnologia.
Camillo e la Olivetti: una storia d'amore
Quando Camillo Olivetti comprese che la tecnologia delle "macchine scriventi" rappresentava il futuro, nessuna delle compagnie che oggi dominano il mercato era ancora nata, nessuno -in Italia- e pochi -nel mondo- avevano capito cosa stava per accadere. Parliamo del 1908. Parliamo di un'epoca ancor più lontana di quanto potrebbe sembrare, un'epoca che non aveva ancora visto l'esplosione tecnologica dovuta alla corsa agli armamenti per le due guerre mondiali di là da venire, si trattava d'un mondo ancora ottocentesco, della fine di quello che Eric J. Hobsbawm chiamò "il secolo lungo", in opposizione a quello "breve" il cui arrivo era alle porte. Un altro mondo, insomma, e decisamente un'altra Italia: giovanissima, inesperta, timida, ignorante; un paese dal quale riuscire a vedere il futuro era un'operazione impossibile, perché non v'era traccia alcuna di quello che sarebbe accaduto. Per riuscire a vederlo ci voleva ben più di un visionario, c'era bisogno di un folle sognatore, d'un mancato autore di fantascienza, di qualcuno capace di sentire l'odore dei fiori nuovi ancor prima che ne fosse deposto il seme.
Il capitale sociale della compagnia, quello che diede inizio al tutto, era pari a 350 mila lire. Gli investitori erano amici e parenti. Gli impiegati erano in numero di quattro: tutti ragazzi, tutti inesperti. Sul tetto del capannone che ospitava la ditta, ad Ivrea, campeggiava un'insegna troppo lunga, ma in cui si leggeva per intero l'orgoglio infinito di Camillo e in cui s'intravedeva il sogno di fare onore al paese: "Ing. OLIVETTI & C. PRIMA FABBRICA NAZIONALE DI MACCHINE PER SCRIVERE".
Di padre in figlio: Adriano, l'imprenditore "rosso"
Negli anni '30 la fabbrica produsse i primi modelli di mobili per ufficio "Synthesis", le prime telescriventi e le prime macchine per calcolo. Poi fu la volta del passaggio di testimone tra padre e figlio: da Camillo ad Adriano. Negli anni '40 la famiglia Olivetti, di origini ebraiche e solida fede socialista (Camillo era intimo amico di Filippo Turati) dovette affrontare il fantasma dei campi di concentramento, pertanto Camillo si rifugiò a Biella, dove morì. Alla fine della seconda guerra mondiale, la Olivetti fu la prima fabbrica al mondo a realizzare una calcolatrice in grado di eseguire la quattro operazioni, la Divisumma-14. Negli anni '60 l'azienda raggiunse il suo massimo splendore e nel 1965 presentò al mondo il primo personal computer -Programma 101- progettato da Pier Giorgio Perotto e presentato insieme alla Logos 27 alla fiera di New York. Il P101 sconvolse letteralmente l'uditorio, la folla si ammassava per vederlo e in molti supposero che il suo funzionamento fosse in qualche modo "magico" o governato da una sorta di enorme calcolatore nascosto. I primi acquirenti furono gli statunitensi della NBC (National Broadcasting Company) che ne ordinò cinque esemplari. Negli anni '60, grazie alla Olivetti, l'Italia dettava mode e tempi in campo tecnologico, e persino gli USA erano suoi inseguitori.
Le condizioni di lavoro degli operai dell'azienda eporediese erano straordinarie, i lavoratori Olivetti venivano guardati con invidia dal resto del paese perché sia Camillo che Adriano (che guadagnò la fama di "imprenditore rosso") ebbero sempre a cuore il benessere dei propri collaboratori e disegnarono un modello d'impresa sostenibile che, ancora oggi, avrebbe molto da insegnare a pseudo-amministratori delegati dei giorni nostri, tutti intenti a smantellare diritti e garanzie e preoccupati solo di cavar soldi dai soldi per mezzo di giochetti finanziari; giochi che la famiglia Olivetti ha sempre odiato, fedele al principio che il denaro dev'essere frutto del duro lavoro e nient'altro.
La miopia della politica industriale italiana
Purtroppo però, negli anni '70, quando il campo dell'elettronica fu invaso e sostituito da quello informatico, l'Italia non era pronta a tenere il passo della Olivetti. Mancavano finanziatori capaci di sostenere gli investimenti necessari a conservare il ruolo di primo piano che l'azienda aveva giocato fino a quel momento e il marketing fu del tutto incapace di comprendere la grande rivoluzione che si celava dietro i due nuovi prodotti Olivetti: i personal computer P6040 e il P6060, il primo basato sul microprocessore Intel 8080, il secondo, con CPU ancora in tecnologia TTL, poteva vantare una stampante grafica e il Floppy disk incorporato. Il successo non fu quello sperato, ma la Olivetti tenne duro e, nel 1979, sbarcò nella Silicon Valley, a Cupertino, a pochi passi dalla sede di Apple.
Così, negli anni '80, l'azienda eporediese si rimboccò le maniche e tornò sulla cresta dell'onda con due nuovi prodotti: l'ET101 (prima macchina da scrivere elettronica), l'Olivetti M10 (uno dei primi veri computer portatili). Contemporaneamente, però, i piani dirigenziali commisero un altro errore, non comprendendo le potenzialità della nuova macchina, l'Olivetti M20, e lasciando che fossero IBM e Microsoft ad imporre quello che, da allora in poi, sarebbe stato l'imprescindibile standard informatico. Malgrado tutto, l'azienda piemontese riuscì ancora a stupire e vincere con l'Olivetti M24 (di fatto un clone del PC IBM) che ottenne un enorme successo di vendite, tanto da rendere la Olivetti il secondo produttore al mondo di computer ed il primo in Europa.
Grandi Speranze: Olipad 100
Eppure, nonostante i successi siano sotto gli occhi di tutti, il mondo industriale sembra del tutto incapace di comprendere l'importanza della Olivetti e, di fatto, ne fa scempio: la frammenta, la ridimensiona, licenzia i lavoratori, uccide l'azienda.
Durante gli anni '90 e i primi anni 2000, il mercato globale diventa enormemente competitivo, e la Olivetti (così mutilata) non è in grado di dire la propria come aveva sempre fatto e, perciò, viene smembrata e venduta.
Così, arriviamo al 2005, l'anno che si rivelerà decisivo per il futuro dell'azienda di Camillo e Adriano:il 29 giuno 2005, Telecom Italia annuncia di voler rilanciare il marchio Olivetti nel mondo, cominciando dal ripristino della ragione sociale che, nel frattempo, era diventata "Olivetti Tecnost".
Dopo tanta passione, ed una storia così potente da inumidire gli occhi di chi la ascolta, il futuro della Olivetti si gioca sul successo dell'ultima nata: l'Olipad 100. L'azienda eporediese, stavolta, si limita ad arrivare prima soltanto in Italia, ma questo non significa che non riuscirà ad imporre il suo standard in tutta Europa e nel mondo come ha sempre fatto. Ci sono prodotti a marchio Olivetti nei musei di tutto il pianeta. Il Museum of Modern Art di New York, ad esempio, custodisce degli esemplari unici di Lettera 22 e Lexikon 80: due macchine da scrivere che non solo hanno fatto la storia, ma hanno anche aiutato chi di dovere a "scriverla" e a raccontarla quella Storia, consentendole di arrivare fino a noi.
Olipad 100 è solo un fragile neonato, certo, ma è figlio d'una antica e gloriosa stirpe. A lui è affidato il destino di un sogno, quello della famiglia Olivetti e dell'Italia intera. E chissà che un giorno il piccolo Olipad non si riveli progenitore di una nuova rivoluzione; una rivoluzione che, finalmente, possa far voltare gli occhi del mondo verso la nostra penisola.
Tanti auguri Olipad 100.