Perché dieci stati USA stanno facendo causa a Google
Il colosso dei motori di ricerca Google è stato portato nuovamente nelle aule di tribunale nel giro di poche settimane. A fare causa all'azienda questa volta sono dieci stati statunitensi, guidati dal Texas e dal suo procuratore generale Ken Paxton: l'accusa rivolta a Google è quella di aver adottato pratiche anticoncorrenziali volte a schiacciare la competizione nel settore che più porta guadagni al gruppo, ovvero la pubblicità online.
Un business multimiliardario
Google opera in un settore invisibile ma delicato e molto remunerativo del web: mette in contatto gli inserzionisti che desiderano mostrare pubblicità su Internet con i siti che offrono spazi a pagamento per mostrarla, e per questo viene compensata. Si tratta di una attività complessa e dalle ramificazioni capillari, della quale la casa di Mountain View detiene la quota maggiore in assoluto. Non solo: il business pubblicitario rappresenta per Google la maggiore fonte di introiti, e solo negli ultimi 3 mesi ha portato nelle casse dell'azienda più di 37 miliardi di dollari.
Le accuse rivolte a Google
Per i dieci stati che stanno portando Google in tribunale, questo giro di affari è basato su pratiche anticoncorrenziali. Il gruppo è accusato ad esempio di costringere i siti web che vogliono usufruire dei servizi pubblicitari di Google a utilizzare il set di strumenti sviluppato dall'azienda anziché una delle alternative disponibili, contribuendo così a tagliare fuori i gruppi avversari dalla competizione e lasciando proprio Google come unica alternativa.
In un altro passaggio della causa, Google è accusata di aver stretto un accordo con Facebook fortemente lesivo delle attività degli avversari. L'intesa sarebbe stata siglata nel 2017: Facebook avrebbe rinunciato a lanciare un servizio pubblicitario direttamente in competizione con quello di Google, e quest'ultima avrebbe assicurato a Facebook un trattamento privilegiato in tutte le aste gestite dall'azienda.
Gli altri procedimenti
Per Google le accuse "non hanno alcun fondamento", e per dimostrare di non aver alcuna influenza sulle attività delle aziende concorrenti ha citato il fatto che i prezzi degli annunci digitali negli ultimi 10 anni si sono abbassati anziché alzarsi. Nel frattempo però il Texas e gli stati che lo hanno seguito non sono gli unici ad aver fatto causa a Google o ad avere in programma qualcosa di simile. Nelle scorse settimane il Dipartimento di giustizia USA ha accusato Google di comportarsi in maniera simile anche nel settore delle ricerche online, piazzando cioè il suo software a bordo di prodotti molto utilizzati come il browser Mozilla, gli iPhone e i telefoni Android e schiacciando i motori di ricerca concorrenti.
Stando a quanto riporta Politico, tra poche ore potrebbe poi partire un altro procedimento avviato da un numero non precisato di stati USA, che si concentra sulle attività dei motori di ricerca verticali, specializzati cioè in ambiti come la ricerca di hotel, prezzi, ristoranti e molto altro. Nella nuova causa Google è accusata di penalizzare queste realtà mostrando nelle prime posizioni del suo motore di ricerca i risultati provenienti dai suoi stessi servizi, costringendo dunque i gestori dei motori verticali a pagare sempre Google per apparire nelle prime posizioni sotto forma di annunci.