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Perché il sistema pubblicitario di Facebook mette in pericolo omosessuali e minoranze

Il social network utilizza le informazioni personali e i mi piace degli utenti sulla piattaforma per inferire da solo i loro interessi; in questo modo però cataloga indirettamente intere categorie di persone, che possono finire al centro di campagne di odio e discriminazione condotte da Paesi intolleranti.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Quando Facebook mostra un annuncio pubblicitario sulle proprie pagine lo sceglie sulla base delle informazioni che i suoi stessi utenti gli hanno fornito: età, residenza, studi e mi piace alle pagine sono tutti fattori che il social prende in considerazione per rendere più efficaci le campagne degli inserzionisti. Insieme a questi aspetti però la società può sfruttare le attività degli utenti sulla piattaforma per inferire da sola informazioni di carattere più personale come orientamento sessuale, etnia, religione, stato di salute e opinioni politiche — il tutto senza che gli stessi utenti le abbiano fornite esplicitamente.

Il fatto è noto da tempo: gli inserzionisti possono già utilizzare questi aspetti per indirizzare i propri annunci verso categorie di persone più interessate ai loro prodotti e servizi ma — come fa notare una ricerca dell'università Carlo III di Madrid ripresa dalla testata New Scientist — le stesse informazioni possono essere utilizzate da gruppi d'odio e governi per condurre campagne di discriminazione, o addirittura per mettere in pericolo l'incolumità di minoranze ben specifiche.

Secondo le indagini condotte dal gruppo di ricerca, circa 2.000 delle opzioni che Facebook mette a disposizione per indirizzare i propri annunci categorizzano gli utenti secondo criteri giudicati "sensibili" dal nostro GDPR, e circa due utenti su tre in tutto il mondo sono stati classificati a propria insaputa con almeno una di queste etichette automatiche. Il problema è che queste classificazioni arbitrarie in alcune zone del pianeta possono recare danni gravi: in Arabia Saudita ad esempio — dove l'omosessualità è considerato un crimine punibile con la morte — quasi un milione di persone sono state etichettate da Facebook in questo modo.

L'azione del social non è di per sé sufficiente a mettere direttamente in pericolo alcun tipo di minoranza o gruppo di opposizione governativa, dal momento che gli inserzionisti non conoscono mai l'identità delle persone che raggiungono con i propri annunci. I rischi per queste categorie di persone in alcuni Paesi però restano concreti: per farle uscire allo scopertto basterebbe infatti un attacco di phishing ben congegnato, come una pubblicità mirata che le inviti a inserire i propri dati personali su un sito in cambio di ricompense o buoni sconto.

Facebook in realtà ha precisato che il processo di categorizzazione non assegna caratteristiche individuali agli utenti ma si limita a ricordare le loro preferenze per determinati argomenti; non definisce ad esempio un utente come omosessuale, ma lo registra come utente interessato all'argomento omosessualità, e permette comunque agli inserzionisti di raggiungerlo con pubblicità mirate. La precisazione tiene il social al riparo da potenziali critiche, ma quando sul piatto ci sono dati così sensibili la questione non si può risolvere con la sola semantica.

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