Quattro buoni motivi per cui Google si è indebitata
Google ha deciso di avviare la procedura di emissione delle sue prime obbligazioni. Non ci è dato sapere se la decisione sia in qualche modo connessa al cambio di leadership all'interno dell'azienda, guidata ormai da diverse settimane dal buon Larry Page, e ai piani a lungo termine che il nuovo CEO ha in programma per la compagnia, ma considerata l'importanza di una scelta di questo tipo, abbiamo deciso di chiedere l'opinione di un esperto come il professor Luca Spoldi, analista finanziario e CEO di 6inrete:
Lo scorso maggio Google, il principale motore di ricerca al mondo ma anche la società che sta registrando, grazie ad Android, una delle più rapide ascese nel campo dei sistemi operativi per smartphone (cosa che impensierisce non poco altri colossi del calibro di Nokia, Motorola, Microsoft e Apple), ha collocato la prima emissione obbligazionaria della sua storia: 3 miliardi di dollari in tutto, a tasso fisso, divisi in tre tranche. Sulla prima, della durata di tre anni, la società pagherà l’1,25%, sulla seconda, a cinque anni, pagherà il 2,125% e sulla terza, a dieci anni, pagherà un interesse del 3,625% all’anno.
Perché una società come Google (che gode di un rating “AA-” da parte di Standard & Poor’s, soli 4 “notch”, gradini, sotto il massimo, la “AAA” che ormai rischiano di perdere persino gli Stati Uniti) deve ricorrere al debito se il suo business è più che florido e la sua cassa è piena di liquidità (37 miliardi di dollari per l’esattezza)? Ufficialmente per rimborsare 2,07 miliardi di dollari di indebitamento a breve. Ma già qui qualcosa non torna visto che dei 930 milioni di dollari che le restano in tasca Google dovrà pur decidere che farne, visto che a parcheggiarli in titoli di stato del Tesoro americano non riuscirebbe neppure a coprire le spese per interessi (ed è altamente improbabile che i tesorieri del gruppo vogliano lanciarsi in pericolose speculazioni su bond di paesi come la Grecia).
Secondo alcuni perché intende continuare ad espandersi, sia organicamente (il numero dei dipendenti è già salito di un ulteriore 10% da inizio anno ad oggi) sia attraverso acquisizioni, mentre altri commentatori sottolineano come in questo modo Google sfrutti un momento particolarmente favorevole con tassi reali a breve termine negativi (negli States l’inflazione a fine aprile ha toccato il 3,2% annuo, quindi al momento la società viene di fatto pagata, in termini reali, dai sottoscrittori delle prime due tranche) e per di più crei un “precedente” in grado di garantire tassi contenuti anche nel prossimo futuro se la società dovesse aver bisogno nuovamente di ricorrere al debito.
Insomma, con un comportamento che qualcuno trova “opportunistico” (ma legittimo) Google approfitta del tentative che da mesi la Federal Reserve sta compiendo per convincere gli investitori private a riprendere la consueta attività di finanziamento, bruscamente ridotta per effetto della crisi economico-finanziaria del 2008-2009. Se poi il livello dell’imposizione fiscale dovesse calare negli Stati Uniti nei prossimi anni, Google (che ha emesso il titolo tramite un veicolo finanziario offshore e dovrà dunque rimpatriare gli eventuali proventi dell’operazione una volta che questa sia giunta a scadenza) potrebbe ricevere un ulteriore beneficio dall’aver “parcheggiato” per qualche tempo all’estero una parte di utili (o meglio essersi assunta dei debiti a breve/medio termine che andranno a compensarli in parte).
CEO di 6 In Rete, Consulting Certified European Financial Analyst, Consigliere direttivo associazione Green Geek.