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Timbuktu, il magazine per bambini su iPad, vince il Mind the Bridge 2011 – Intervista a Elena Favilli

È italiana, anche se in lingua inglese, la prima rivista tutta dedicata ai bambini sul celebre tablet di casa Apple. Dopo la vittoria al Working Capital Tour 2010, Timbuktu trionfa anche al Mind The Bridge di quest’anno grazie ad una delle più originali idee a favore dell’infanzia.
A cura di Angelo Marra
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Timbuktu-il-primo-magazine-per-bambini-su-iPad

Timbuktu è la prima rivista realizzata esclusivamente per i più piccoli e disponibile solo su iPad. Un'idea molto originale per avvicinare i più piccoli all'informazione sul mondo che li circonda, tramite strumenti ormai diffusi come il tablet di Apple e, cosa molto importante, in maniera totalmente gratuita.

Una bozza del progetto aveva già incontrato il favore della giuria del Working Capital Tour nell'edizione del 2010, vincendo un finanziamento che ne ha permesso la creazione in lingua inglese. Ma i successi per Timbuktu non sono finiti lì: quest'anno infatti il magazine, realizzato utilizzando le più avanzate tecniche educative, si è aggiudicato anche la vittoria al Mind The Bridge, conquistando la possibilità di incontrare investitori direttamente nel cuore della tecnologia mondiale, Silicon Valley.

Abbiamo intervistato Elena Favilli, ideatrice e fondatrice di Timbuktu.

Raccontaci qualcosa del progetto: com'è nata l’idea? Da quante persone è composto il team? Quali sono i progetti e le speranze per il futuro?

L'idea è nata dal mio incontro con Francesca Cavallo. Io stavo lavorando a un progetto di magazine su tablet con cui avevo vinto il premio Working Capital di Telecom e con Francesca ci siamo rese conto che era un progetto sul quale i nostri interessi e le nostre competenze si intrecciavano e si completavano, così abbiamo deciso di lavorarci insieme. Io portavo con me tutta l'esperienza accumulata negli ultimi sei anni nel mondo dell'editoria e del design e lei quella legata all'educazione e a quelli che in America chiamano creative learning strategie. Il team base al momento è composto da noi due. Poi c'è un art director che si chiama Samuele Motta e un programmatore che si chiama Alberto Sarullo. Facciamo prodotti editoriali digitali per bambini. E attraverso le nostre app vogliamo portare nel consumer market per la prima volta i metodi di educazione più avanzati del mondo.

Cosa significa per una startup esordire nel mercato italiano? Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato?

L'Italia ha molte caratteristiche che potrebbero renderla un paradiso per le startup: gli italiani hanno una certa propensione al rischio, un clima perfetto, un approccio creativo alle cose, la capacità di pensare collegamenti nuovi, diversi poli universitari di eccellenza. Il problema è che a livello sociale c'è ancora poca mobilità e questo si riflette drammaticamente nell'economia dell'innovazione. I creativi molto spesso invece che rivolgersi al grande pubblico si rifugiano nelle loro elite e non sono disposti a “scendere a patti” con il capitale e l'industria. Questi ultimi diffidano della creatività che negli ultimi anni è stata additata come una forza aprioristicamente nemica dell'establishment. L'economia dell'innovazione crescerà e si rafforzerà in Italia a patto che si intervenga su questi elementi strutturali che sono sociali, culturali ed economici. Inoltre, un fattore di estrema importanza è una gestione oculata e sapiente dei fondi destinati al mezzogiorno. Un'Italia in cui la fuga dei cervelli e il corporate drain dal mezzogiorno non vengono affrontati con serietà e competenza non riuscirà ad operare come un sistema davvero orientato all'innovazione.

Le parole chiave sembrano essere produttività e rilancio dell'economia. Quali sono i principali provvedimenti in cui confidate da parte del governo?

Speriamo innanzitutto che crei un quadro normativo in grado di favorire e coltivare un'imprenditoria sana, giovane e innovativa. I problemi al momento sono molti e vanno dalla esagerata  burocrazia a un quadro fiscale decisamente non incoraggiante. Il fatto che in Italia venga tassato soprattutto il lavoro dà come immediata conseguenza una minore mobilità sociale, perché ostacola il lavoro e favorisce il patrimonio.

Ci sono poi anche dei limiti culturali. I giovani laureati talentuosi in Italia non cercano naturalmente le startup, ma le grosse aziende che possono dare più certezze. Da questo punto di vista la cultura dell'impresa sembra ferma agli anni sessanta. Noi pensiamo che sia compito soprattutto delle istituzioni – scuole e università in primis – investire in questo cambio di tendenza.

Cosa trasforma una buona idea in un business redditizio? Quali sono le strategie da seguire?

Essere flessibili, saper cambiare idea rapidamente, ascoltare e studiare molto. Sbagliare soprattutto, quello ti chiarisce incredibilmente le idee!

I numerosissimi progetti pervenuti alla giuria del MTB denotano un certo fermento nel campo delle giovani aziende italiane. Cosa dobbiamo invidiare all'estero e quali sono invece i punti di forza dell'investire (in termini di idee e di soldi) nella produzione nazionale?

Diciamo che la grossa partecipazione riflette allo stesso tempo un desiderio forte di cambiamento di questo paese, e la delusione di tutti quei talenti che le grosse e medie aziende mortificano con la logica del “ringrazia Dio che ti ho preso, ce ne sono 100 là fuori pronti a fare lo stesso per la metà dei soldi”. Noi non siamo disposte a scendere a patti con questi ricatti ma purtroppo questa è stata la cultura dominante in Italia negli ultimi quindici anni e ci vorrà un bel po' di tempo prima di venirne fuori.

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