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Tutti i fallimenti di Steve Jobs, a 10 anni dalla morte

Il 5 ottobre del 2011 moriva un genio visionario. Il suo percorso professionale lo ha visto impegnato dalla metà degli anni ’70 fino a quando ha deciso di lasciare il consiglio di amministrazione dell’azienda, scegliendo Tim Cook come erede. Tanti i successi che hanno reso famoso un uomo acclamato e controverso. Altrettanto numerosi i fallimenti, che segnarono il suo cammino umano e professionale .
A cura di Ivano Lettere
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Era il 2005 quando, al termine di un discorso durato 14 minuti, pronunciava quattro parole magiche: "Siate affamati, siate folli!". Steve Jobs sapeva bene quanto fosse importante per i neolaureati di Stanford essere destinatari di un incitamento asciutto, senza fronzoli e, per ciò stesso, convincente. Una consapevolezza che caratterizzava anche il suo approccio lavorativo: allo stile laconico e diretto dei suoi discorsi corrispondeva infatti quello minimalista dei prodotti Apple. Quasi a voler chiudere il cerchio, confermando la totale dedizione all'essenziale, il 5 ottobre di 10 anni fa il fondatore della mela morsicata se ne andava silenziosamente, evitando annunci strappalacrime, che avrebbero aggiunto informazioni superflue.

Non è dato sapere cosa abbia determinato questa vocazione alla sobrietà (linguistica e del design), ma è probabile che a incanalare i suoi sforzi lungo questa ideale traiettoria siano stati i risultati di una carriera durata quasi 40 anni. Una storia professionale costellata di successi, di cui l'opinione pubblica è stata ed è tutt'oggi testimone, basti pensare al valore simbolico di cui è ammantato ogni dispositivo prodotto a Cupertino e dintorni. Ma più che le vittorie, è probabile che a plasmare la mente di Jobs, e dunque la sua filosofia, siano state le sconfitte. Cadute rovinose, ma necessarie per raggiungere la vetta. Fallimenti da cui probabilmente ha tratto ispirazione per limare, snellire e asciugare le idee che negli anni si sarebbero dimostrate rivoluzionarie.

Apple III: il primo fiasco

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Il suo predecessore, l'Apple II, primo computer user-friendly e principale fonte di reddito della multinazionale, presentava dei problemi: l'architettura hardware e il sistema operativo erano limitati. Questo è stato il motivo che ha spinto il team a idearne un altro, con un progetto guidato da Wendell Sander. Il 19 maggio 1980 veniva presentato al pubblico Apple III, munito di un nuovo sistema operativo, l'Apple DOS. Tuttavia, le numerose innovazioni non sono bastate a decretarne il successo ed è rimasto tristemente noto alle cronache del tempo come uno dei peggiori computer mai usciti dal mercato. Il motivo era piuttosto semplice: Steve Jobs, allora 25enne, aveva deciso che non dovessero essere inserite le ventole, in quanto sperava che con questa modifica ne sarebbe venuto fuori un dispositivo silenzioso. Per disperdere il calore, l'alternativa era un cabinet di alluminio, che conteneva la scheda madre e altre componenti interne. La scelta, purtroppo, si è dimostrata poco azzeccata: il surriscaldamento del contenitore che ospitava l'hardware provocava la fusione di saldature, floppy disk bruciati e testo corrotto sullo schermo. Un flop a cui si aggiungeva un prezzo fin troppo alto persino per il mercato business: 8.000 dollari.

Lisa: la mossa falsa

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Il nome del progetto avviato nel 1978 è un ovvio omaggio alla figlia, Lisa Nicole Brennan-Jobs. Si tratta del primo computer dotato di interfaccia grafica, entrato nelle case della gente comune, che attraverso il mouse, le icone e le finestre avrebbe potuto vivere una nuova esperienza. Inoltre aveva un sistema operativo diviso in due: da un parte LisaOS e dall'altra Workshop. Ironia della sorte, il progetto marchiato con il nome della sua prole lo ha visto protagonista per poco tempo: nel settembre del 1980 Jobs fu espulso da Michael Scott e da Mike Markkula per colpa di alcuni suoi atteggiamenti che avevano come effetto la disgregazione dei gruppi di lavoro con cui collaborava. Lanciato nel 1983, il prezzo di listino era perfino più alto del precedente Apple III, sfiorando i 10.000 dollari. Ma il fallimento di Lisa è dovuto in larga parte alla presenza di elementi in contrasto con lo spirito dei primi anni '80. A quanto pare, il potenziale della GUI cozzava con l'atteggiamento degli utenti che non la comprendevano fino in fondo. Lisa poteva anche apparire (agli occhi di chi l'aveva progettata) come una macchina facile da utilizzare, ma rimaneva pur sempre costosa per le tasche dei suoi potenziali acquirenti. Il risultato è stata una generale deviazione per le macchine prodotte da IBM, i cui costi abbordabili compensavano l'interfaccia ostica.

Un portatile pesante: il Macintosh Portable

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Dopo soli 6 anni dal caso "Lisa", nel 1989 Apple propose un dispositivo portatile, una novità nata anche grazie a un investimento economico notevole. A dispetto del nome, il Macintosh Portable pesava 7,2 chilogrammi, tanto che risultava complicato, se non addirittura impossibile, portarselo in giro. Una taglia che metteva in ombra le sue caratteristiche innovative, tra le quale emergevano lo schermo in bianco e nero retroilluminato e una serie di componenti a basso consumo che ne permetteva l'utilizzo per 10 ore. Com'era prevedibile, alla critiche positive non sono seguiti dati rincuoranti nell'ambito delle vendite. Questo esito non ha demoralizzato Apple che, alla luce del fallimento, ha deciso di privilegiare le dimensioni, mettendo in secondo piano la performance della batteria. Il cambio di rotta ha contribuito alla nascita del PowerBook 100, antenato degli attuali MacBook.

Macintosh Tv

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Il computer Lisa non è stato l'unico prodotto Apple a sbagliare le tempistiche. Anche il Macintosh Tv si è rivelato anacronistico, presentandosi agli utenti degli anni '90 (non ancora pronti a simili ibridazioni) come il risultato della fusione tra computer e televisione. Nel 1993 veniva lanciato sul mercato un prodotto di colore nero, basato sulla serie Performa e dotato di un monitor a tubo catodico Sony Triniton da 14 pollici. Anche in questo caso, il (presunto) punto di forza del dispositivo si dimostrava al contrario quale suo maggior difetto. La visionarietà non trovava corrispondenza nell'utilizzo concreto, reso difficile soprattutto dal fatto che le due anime del prodotto erano separate e non comunicanti, tanto che poteva essere utilizzato solo alternativamente come TV o come computer. In più, il prezzo, poco più di 2.000 dollari dell'epoca, scoraggiava i consumatori. Un fallimento utile per Jobs e compagni, che hanno capito gli errori commessi: dopo molti anni, la lezione ha permesso ad Apple di creare la Apple TV.

Un sogno sfumato: Ping

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Alla sua presentazioni, nel 2010, Jobs lo definiva un social network musicale che avrebbe permesso di scoprire quale fosse la musica ascoltata dai tuoi amici e di seguire i propri artisti preferiti, rimanendo aggiornato sulle date dei tour. Purtroppo, sulla falsariga dei fallimenti precedenti, anche Ping non ha avuto il successo che ci si aspettava. Eppure, appena lanciato, sembrava essere destinato a diventare l'ennesimo prodotto di punta della multinazionale americana. Durante le prime 48 ore, la piattaforma per la condivisione dei gusti musicali ha raggiunto un milione di iscritti. Un dato inimmaginabile se confrontato con quello di iTunes, applicazione Apple lanciata nove anni prima e con 3 milioni di utenti.  Ma è bastato poco tempo prima che la curva delle iscrizioni calasse a picco. Paradossalmente, è stato lo stesso metodo di fruizione a impedirne l'ascesa: bisognava infatti possedere e utilizzare iTunes per accedere a Ping. Nel 2012, dopo soli due anni, è stato chiuso definitivamente.

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