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Tutto quello che non ha funzionato con l’app Immuni, che domani compie un anno

Tra una comunicazione errata e un codice di attivazione difficile da inserire, passando per notifiche che una volta ricevute lasciavano gli utenti incerti su cosa avrebbero dovuto fare: tutti i limiti di un’app che doveva rappresentare un’arma decisiva nella lotta al coronavirus ma si è rivelata di utilità marginale.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Chi si ricorda ancora dell'esistenza dell'app Immuni domani potrà farle gli auguri: l'8 giugno è infatti il primo anniversario del debutto del software per il tracciamento dei nuovi casi di coronavirus. Lanciata in una versione preliminare riservata ad alcune regioni e poi giunta in tutta Italia, Immuni doveva essere l'arma decisiva per combattere una pandemia che sembrava ancora inarrestabile, ma il suo destino si è rivelato decisamente diverso. Nel suo primo anno di vita l'app è stata scaricata meno di 10 milioni di volte e ha rilasciato solamente 100.000 notifiche di esposizione; i motivi che hanno portato alla sua débâcle sono molteplici, alcuni dei quali hanno a che fare con scelte che potevano essere fatte diversamente.

Comunicazione errata

Già prima che debuttasse, l'app Immuni era stata pesantemente strumentalizzata dalla politica e additata come una minaccia per la privacy. Immuni in realtà utilizza soluzioni sofisticate per assicurarsi di fare il suo lavoro senza diffondere o rivelare informazioni personali degli utenti, eppure la campagna di discredito che ha tenuto banco per settimane prima del lancio ha diffuso nell'opinione pubblica l'idea che il sistema servisse a tracciare il comportamento e la posizione delle persone. Il tutto non è stato controbilanciato da una campagna di informazione sufficientemente chiara e pervasiva, e ha finito con il rafforzare le convinzioni degli scettici e scoraggiare gli utenti dubbiosi a dare una chance all'app.

Il codice da inserire

L'ostacolo principale ai risultati del'app è stato però il codice che i nuovi positivi dovevano inserire per allertare i loro contatti di mettersi in isolamento. In Paesi come il Regno Unito questa stringa viene inviata automaticamente dal servizio sanitario nazionale a tutti i pazienti che ottengono un test positivo, e questi possono poi immetterla all'interno dell'app per avvisare i loro contatti stretti. Da noi – come del resto anche in altri Paesi – non è stato sempre così. Oggi procedura ora si può effettuare senza aiuto dall'esterno, ma fino a pochi mesi fa andava portata a termine con l'assistenza di un operatore telefonico del servizio sanitario lasciando spazio a non pochi potenziali problemi. Innanzitutto chi si scopre positivo non ha sempre la presenza di spirito di occuparsi di un aspetto che viene percepito a volte come secondario nella gestione della propria nuova situazione; soprattutto però non tutti gli operatori telefonici erano formati per accogliere questa richiesta, e molti non erano in grado di rispondere alla richiesta degli utenti.

Notifiche in ritardo e isolamenti incerti

Un altro ostacolo al funzionamento dell'app è stato una mancanza di indicazioni precise sul come reagire alla notifica di esposizione. Al riguardo l'app dà infatti alcune indicazioni generiche e spiega che i probabili contagiati devono isolarsi in attesa delle indicazioni del medico e seguire le pratiche di distanziamento e controllo della temperatura, ma non scioglie alcuni nodi che però non stava neppure all'app sciogliere: dall'eventuale obbligo di quarantena alla giustificazione presso il datore di lavoro, passando per la garanzia di un tampone. Non sono mancati inoltre casi di notifiche giunte sugli smartphone con settimane di ritardo, mettendo in crisi gli utenti che non sapevano come reagire all'avviso.

Le tempistiche sbagliate

Alla luce di tutto questo è possibile che più di un notificato abbia deciso di non rispettare le indicazioni date, né più in generale è mancato chi ha deciso di disinstallare (o non installare) l'app nel suo momento cruciale. La fine della prima ondata sarebbe infatti dovuto essere il periodo ideale per dotarsi dell'app e arginare gli effetti devastanti dei contagi poi puntualmente tornati a diffondersi a parire da ottobre; ai tempi Immuni è stata invece considerata un'app sorpassata, o addirittura pericolosa perché rischiava di rallentare il ritorno alla normalità dei più timorosi.

Una seconda vita per Immuni

Ora si parla di una nuova funzione per Immuni, che salvo problemi dovrebbe ospitare il cosiddetto green pass per viaggiare con la certificazione digitale di immunità, avvenuta guarigione o negatività. Dove l'app non è riuscita ad arrivare a causa dei suoi problemi di gioventù e impreparazione, potrebbe insomma arrivare la promessa di un ritorno alla normalità.

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