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Vietnam, tre blogger condannati per propaganda antigovernativa

Le pene variano da 4 a 12 anni per i tre blogger, rei di aver pubblicato articoli di critica verso il regime su un giornale vietato nel paese. La Repubblica Socialista è considerata da Reporter Senza Frontiere “nemica di internet” e fa parte delle ultime nazioni nella classifica internazionale sulla libertà di stampa.
A cura di Angelo Marra
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Il Tallone di ferro della censura continua a schiacciare sotto il suo peso qualsiasi anelito di libertà nella lontana Repubblica Socialista del Vietnam. Tre blogger sono stati recentemente condannati ad un totale di 26 anni di carcere per aver pubblicato articoli di critica nei confronti del regime sul sito Free Journalist Club, anch'esso proibito.  A nulla sono valsi gli interventi di associazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International e persino l'appello lanciato dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha sortito alcun effetto; secondo i giudici i tre blogger "hanno abusato della popolarità di internet per pubblicare articoli che hanno minato l'immagine del nostro leader, criticando il partito comunista e distruggendo la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato".  I tre giovani sono stati processati sulla base dell'articolo 88 del codice penale vietnamita che punisce qualsiasi atto di propaganda contro lo Stato o il partito comunista, un articolo la cui vaghezza consente alle autorità di Hanoi in pratica qualsiasi libertà di azione per piegare ogni dissidenza e punire eventuali critiche verso le autorità.

Come confermato da uno dei tre condannati infatti, gli articoli incriminati non costituivano un attacco allo Stato o alle istituzioni, bensì la denuncia di casi di corruzione ed ingiustizie, oltre a voler mantenere vivo il dibattito sui diritti umani e sulle auspicabili (ma assai poco probabili) riforme democratiche che il popolo vietnamita attende ormai da tempo immemore. Purtroppo nella Repubblica Socialista (il cui motto, ironicamente, recita "Indipendenza, Libertà, Felicità") qualsivoglia deviazione dalla totale ossequiosa abnegazione ai dettami del Partito è considerata retoricamente un attacco deliberato alle istituzioni e pertanto, come ha ribadito il giudice che ha pronunciato le condanne, "dev'essere punita con forza".

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