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WhatsApp, torna la truffa delle foto di assegni riscosse come assegni veri

L’ultima volta se n’era parlato quasi due anni fa, quando un ragazzo padovano aveva accettato di inviare a un venditore la foto dell’assegno col quale aveva intenzione di pagare l’auto in vendita. Alla base della truffa ci sono un meccanismo di controllo migliorabile e impiegati compiacenti o semplicemente negligenti.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Fotografie di assegni scambiate per assegni veri dagli impiegati di alcune banche: sembra assurdo, ma è avvenuto in passato e continua ad avvenire. Anzi: è diventato il meccanismo al centro di una truffa ricorrente della quale sembravano essersi erano perse le tracce nel 2017 ma che — riporta Repubblica seguendo una denuncia del Movimento difesa del Cittadino — sembra non essere mai veramente passata di moda. Ai tempi ne aveva parlato anche Fanpage.it, quando un ragazzo padovano aveva risposto a un annuncio di vendita di auto pubblicato online e — per dimostrare la propria buona fede — aveva accettato di inviare al venditore tramite WhatsApp una fotografia dell'assegno già compilato, prima dell'effettivo passaggio di mano del bene; il ragazzo si era visto il conto in banca prosciugato senza poter fare altro che denunciare l'accaduto.

L'episodio sembra aver fatto scuola, dato che secondo il Movimento difesa del Cittadino sono diverse ormai le persone cadute in trappole simili: i truffatori — racconta l'associazione — si presentano come venditori online privati che propongono offerte vantaggiose in svariati settori, anche se principalmente prediligono quello automobilistico; una volta contattati, premettono di accettare soltanto pagamenti con assegno circolare e nelle ultime fasi della trattativa chiedono al potenziale acquirente di anticipargli una foto dell'assegno come prova dell'intenzione di acquisto. Qui avviene il cortocircuito: da una parte il compratore ritiene non ci sia nulla di male nell'inviare una semplice foto di un titolo di credito che dovrebbe essere difficile da contraffare; in realtà invece i controlli si rivelano a volte meno rigidi di quanto previsto, e il truffatore riesce a riscuotere la somma semplicemente con una stampa in alta risoluzione della fotografia.

Secondo il Movimento difesa del Cittadino i truffatori si sono spesso avvalsi di pesonale compiacente all'interno delle banche designate per la riscossione, ma è anche accaduto che alla base del danno ci sia stata semplice negligenza; alcuni impiegati hanno cioè inserito gli estremi dell'operazione all'interno del sistema di interscambio che porta allo spostamento di denaro, senza però prima controllare i numerosi dispositivi anti falsificazione contenuti negli assegni di tutti gli istituti. A permetterlo è il sistema che permette alle banche il passaggio di credito senza avere come prova l'assegno vero e proprio in custodia: si chiama check truncation, è stato ideato per velocizzare e rendere più economiche le operazioni di questo tipo ma allo stesso tempo fa leva sulla buona fede e sulla solerzia degli impiegati.

Al momento non c'è un rimedio soddisfacente per chi ha subito una truffa del genere. ABI e Cassazione — riporta il Movimento difesa del Cittadino — riconoscono la responsabilità della banca emittente solamente per il 50% della somma persa, il che vuol dire che le vittime finiscono col riuscire a recuperare solo metà del maltolto. L'unico consiglio valido per evitare di infilarsi in queste situazioni è quello di non fidarsi: per quanto l'affare promesso sia vantaggioso, finché la merce non è nelle proprie mani non c'è dimostrazione di buona fede che tenga — soprattutto se il venditore è uno sconosciuto online.

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