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Wikipedia: la politica italiana non la ama, ma se ne approfitta

Wikipedia e l’abitudine, tutta italiana, di prendersela con i media prima che con coloro che li utilizzano in maniera scorretta.
A cura di Anna Coluccino
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Qualche giorno fa, Il Fatto Quotidiano ha riportato un ottimo commento alla vicenda riguardante la voce "Magistratura Democratica" di Wikipedia, citata dal ministro Roberto Castelli nel corso della trasmissione "Potere", andata in onda su RaiTre. Il desiderio del ministro era quello di servirsi della voce in questione per avvalorare la tesi che vorrebbe una magistratura, in buona parte, "comunista". La vicenda è stata ampiamente sviscerata da Federico Mello, ciò nondimeno mi restano almeno due cose importanti da dire, e vorrei dirle subito: in maniera chiara e definitiva. Perché, in questo paese, esistono convinzioni riguardanti la tecnologia che offendono -quotidianamente- le nostre intelligenze (e con "nostre" intendo chiunque si riconosca nelle affermazioni che sto per pronunciare).

Innanzitutto, con buona pace del pur degnissimo Mc Luhan, il medium non è il messaggio, nel senso che, pur condizionando fortemente la struttura del messaggio, un mezzo resta pur sempre un mezzo, e quindi del tutto inqualificabile se si prescinde dall'agente umano: un medium non è né brutto né bello, né buono né cattivo: è. Dei media è possibile servirsi in molteplici modi e con finalità infinite e ben distinte, il messaggio lo fa l'emittente, lo scrivente, colui che -in buona sostanza- decide di dare avvio alla comunicazione; ciò significa che se un mezzo "ospita" gli strafalcioni di un utente malevolo e dalle evidenti intenzioni reazionarie, la ghigliottina della critica non dovrebbe abbattersi sul medium, ma sul cretino utente di turno. Punto.

L'Italia non riesce proprio a comprenderlo questo concetto.

Ne è testimonianza l'ormai celeberrima sentenza di Milano che condannò Google per aver ospitato un video di bullismo ai danni di un ragazzo affetto da sindrome di Down. Se la giustizia italiana avesse avuto conoscenza del medium in questione, non avrebbe dato per assodata la possibilità di controllare tutti i contenuti che -giornalmente- vengono caricati su di un sito qual era Google Video; avrebbe compreso che non è affatto scontato che i dipendenti di Google Italia avessero visto ed ignorato volutamente il video; avrebbe ponderato la possibilità che il lungo periodo di latenza (un mese) che ha preceduto la cancellazione del contenuto non fosse necessariamente una prova del cinico desiderio di lucrare sulle sventure altrui, ma un ritardo dovuto all'incredibile mole di contenuti ed informazioni presenti sul sito.

Invece di attaccare i dirigenti Google (che forse sono venuti a contatto con il video in questione e forse no) la giustizia, la stampa, la politica avrebbero dovuto stigmatizzare duramente tutto coloro che -invece- erano certamente colpevoli: gli idioti che hanno girato e caricato il video, gli insegnati che non erano presenti al momento del fatto (avvenuto a scuola, durante l'intervallo), i compagni che hanno visto e non hanno soccorso il ragazzo, i genitori che hanno ignorato le derive bullistiche dei loro figli… Simili avvenimenti non nascono dal nulla, sono solo l'ultimo atto di tragedie cominciate chissà quanti mesi prima, il frutto di azioni violente e reiterate, di comportamente antisociali che non possono non aver avuto precedenti. Troppo comodo prendersela con il mezzo e con chi lo gestisce. Troppo comodo scaricare le responsabilità di un fatto che ha decine di colpevoli sul sito che ha ospitato il contenuto violento. Più difficile è guardare il faccia la realtà e condannare i complici morali di quanto è accaduto.

La seconda riflessione, invece, a più a che fare con il doppiopesismo tipico della politica italiana, ed anche di certo giornalismo: il pensiero rispetto ad un mezzo, una situazione, uno scenario, un'azione, muta al mutare delle circostanze, e le opinioni cambiano radicalmente a seconda del soggetto coinvolto nello "scandalo". Ed ecco allora che se, ad esempio, la voce di Wikipedia riguardante Berlusconi parla di piduismo, processi in corso e leggi ad personam, l'enciclopedia del web diventa "ideologizzata e inattendibile", mentre se parla di "giudici comunisti", la parola di Wikipedia è il verbo che si è fatto carne: un'incontestabile fonte di verità, certa e immutabile.

Vi ricordate quando, mesi fa, parlammo del servizio del TG5 in cui si definiva Wikipedia "ideologizzata e inattendibile"? In quel servizio, il giornalista dichiarava -fallacemente- che alcuni dati erano immodificabili, che il creatore Jimmy Wales "chiedeva soldi agli italiani" per mantenere in vita e far crescere la "sua" creatura. Come se non bastasse, per chiudere in bellezza, il giornalista celebrava l'apologia della vecchia cara enciclopedia.


A pochi mesi di distanza, il ministro della giustizia Roberto Castelli cita Wikipedia per avvalorare la tesi che vorrebbe una certa parte della magistratura pericolosamente vicina al comunismo e alla sinistra extraparlamentare. In quest'occasione, la voce riguardante l'associazione "Magistratura democratica" su Wikipedia Italia, riportava affermazioni del tutto prive di fonte  (e che per questo erano segnalate in rosa e accompagnate dalla dicitura "senza fonte", come sempre accade ai contenuti dalla dubbia provenienza) eppure il ministro non ha pensato che quel passaggio fosse "ideologizzato e inattendibile", anzi, lo ha addirittura citato. All'interno della voce in questione si dichiarava testualmente che "in passato Magistratura Democratica ha spesso trovato punti di corrispondenza nell’azione politica del Partito Comunista Italiano e della sinistra extraparlamentare, e di partiti quali Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani e le correnti di sinistra del Partito Democratico nel contesto politico attuale". La presente dichiarazione non ha alcuna attendibilità (tanto che, in seguito all'involontaria segnalazione di Castelli, è stata rimossa) e l'autore della nota è stato più volte redarguito per aver integrato voci riguardanti Fabrizio Cicchitto, Enrico Berlinguer e Gianfranco Fini con informazioni dalla provenienza oscura ed ascrivibili all'universo dell'opinione che -com'è noto- è ufficialmente bandito all'interno di Wikipedia.

Insomma: questa volta, l'inesattezza di Wikipedia ha reso il mezzo degno della citazione di un ministro, altre volte le imprecisioni presenti sul sito sono state strumentalizzate per negare l'esattezza di altre informazioni e per screditare -in toto- il medium. Ma se qualcuno, incurante delle regole che pure sono ben specificate, avvelena Wikipedia, perché si mette in dubbio la validità del medium? Se un manipolo di persone, incuranti delle regole del vivere civile, decidesse di frequentare la scuola per infastidire i compagni, rendere impossibile lo svolgersi delle lezioni e traviare qualche studente giudizioso, metteremmo in dubbio la validità dell'istituzione scolastica?

Io non amo i doppiopesismi. E non gradisco nemmeno che si creda che i media siano "buoni o cattivi" di per sé, o -peggio ancora- che gli esseri umani, gli uomini e le donne comuni, non abbiano la facoltà di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è attendibile da ciò che non lo è e debbano -quindi- essere necessariamente guidati, come fossero poppanti, da qualche eletto che accoglie su di sé l'onere di disciplinare e dirigere l'informe massa ignorante.

A me Wikipedia piace sempre. Mi piace il progetto. Adoro lo slancio, il tentativo -magari utopico o forse no- di lasciare che siano gli esseri umani, tutti, a scrivere la storia della loro specie. Insieme.

Mi piace perché confido nel fatto che la maggior parte delle persone si comporti in maniera seria e coscienziosa e che gli imbecilli siano arginabili, con il tempo, con il miglioramento delle funzioni di controllo, con la progressiva responsabilizzazione degli utenti che si servono del mezzo e che dovrebbero sempre segnalare la presenza di contenuti falsi o privi di fonte.

E se alcuni utenti che collaborano alla redazione delle voci si comportano in maniera scorretta, fornendo le proprie -discutibili- opinioni al posto di fatti reali e verificabili, occorre condannare il gesto, l'abuso di un mezzo dalle straordinarie potenzialità, l'irrispettosità nei confronti di uno strumento che appartiene a tutti, e non metterne in dubbio la validità.

Perché bisognerebbe affidare il racconto di ciò che tutti noi viviamo e vediamo qui e oro solo a chi ha i "titoli" per raccontare la realtà? Un processo è un processo. Una guerra è una guerra. Un'elezione è un'elezione. Una catastrofe è una catastrofe. Tutti possono raccontare ciò che è accaduto, specie se si trovano al centro degli eventi. Tutti dovrebbero raccogliere informazioni, collegamenti, articoli, libri, contributi, saggi e poi provare a tirare le somme, a raccontare, lasciando ad ognuno la facoltà di interpretare i fatti come meglio crede. Wikipedia raccoglie. Non crea e non inventa. O almeno non dovrebbe. Wikipedia è il sogno di riuscire a raccontare l'intera storia dell'uomo, tutto ciò che è esiste e che è esistito, attraverso la raccolta e l'organizzazione delle informazioni che -ogni giorno- si affollano sul web e fuori, lasciando che vengano filtrate, corrette, riviste, intergrate attraverso il contributo di tutti e non solo dei pochi potenti che -da sempre- si sono occupati di scrivere o far scrivere la storia.

Invece di continuare a prendersela con il medium e, per estensione, con tutti coloro che contrubuiscono ogni giorno alla sua creazione, forse varrebbe la pena cominciare ad offrire il proprio contributo per la realizzazione di uno dei progetti più difficili ed ambiziosi che la storia ricordi. La responsabilità è di tutti. Gli errori, così come i successi, appartengono all'intera comunità online. Ed anche se molti si limitano a puntare il dito, neppure si accorgono che tutto ciò che hanno sta di fronte al loro bel polpastrello teso e vibrante è uno specchio, e la possibilità di fare meglio.

Una volta o l'altra, toccherà coglierla quella possibilità.

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