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Opinioni

L’innovazione di Uber si combatte con altra innovazione, non con il proibizionismo

Proteste, manifestazioni, auto ribaltate, leggi. Bandire ad ogni costo Uber dalle strade sembra essere l’unica soluzione all’avanzata di un servizio che sta mettendo in grande difficoltà i tassisti. Ma se all’innovazione si risponde con altra innovazione, come sta succedendo in Francia, i risultati possono stimolare una competizione positiva per tutto il settore.
A cura di Marco Paretti
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Uber la bestia nera. L'app che ruba il lavoro, opera illegalmente, fa concorrenza sleale. Uber che ha sollevato fiumi di polemiche sfociate spesso e volentieri in violente proteste contro la compagnia americana e i suoi autisti. Uber che tutto il mondo sembra voler bandire. O quasi tutto. Già, perché c'è chi ha deciso di contrastare l'avvento di una soluzione tecnologica innovativa come Uber con altra innovazione. E non con il proibizionismo che i tassisti vorrebbero imporre ad un servizio che sta sì mettendo in difficoltà il loro lavoro, ma che rappresenta anche una naturale evoluzione dei trasporti nell'era iperconnessa degli smartphone. Così, proprio nella Parigi che ha fatto da sfondo agli scontri più violenti, è nata l'alternativa più interessante a Uber. A proporla è la principale compagnia parigina di taxi, G7.

Il fuoco incrociato di tassisti e amministrazioni che ha colpito Uber fin dal suo lancio lo ha di fatto lasciato monco in diversi paesi del mondo. Basti pensare alle offerte UberPop e UberX, entrambe low cost, che in Francia e in Italia sono state bandite perché considerate concorrenza sleale nei confronti dei taxi, ma che in altri paesi, come gli Stati Uniti, vengono utilizzate ogni giorno da migliaia di utenti. La risposta all'arrivo di Uber, almeno per quanto riguarda i tassisti, è stata netta: il servizio va bloccato, eliminato, bandito. Così si è arrivati alle proteste, alle macchine ribaltate e bruciate, agli autisti del servizio americano malmenati e segregati nelle loro auto. Tutto per chiedere che Uber venisse eliminato definitivamente dalle strade, quasi come fosse un male tecnologico in grado di fagocitare il lavoro di migliaia di tassisti. E in effetti in parte lo è, ma così come lo è sempre stata l'innovazione.

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È inutile girarci intorno: Uber funziona e pure bene. È efficiente, veloce ed economico, ha tutte le caratteristiche per essere uno dei servizi più in vista dell'era degli smartphone nonostante le inevitabili limitazioni e punti oscuri. Almeno quando può operare al 100%. L'offerta spazia dai servizi di lusso a quelli economici, fino alle opzioni che consentono di condividere la corsa con più utenti e di scegliere le vetture "verdi", cioè con motori elettrici. I taxi, almeno per quanto riguarda il servizio "standard", sono ancora diversi passi indietro: bisogna chiamare, ipotizzare una tariffa, pagare spesso in contanti e affidarsi ad una scelta di auto praticamente inesistente. E, oltre a tutto questo, spesso sono più costosi. Certo, direte voi, però i tassisti devono pagarsi la licenza. È vero, i tassisti si svenano per acquistarne una, invece gli autisti di Uber possono operare senza questo costo iniziale e senza dover sottostare alle stesse regolamentazioni. Ora, tralasciando il fatto che la compravendita di licenze è stata creata dagli stessi tassisti negli ultimi 30 anni, quello delle licenze è sempre stato un investimento: oggi è semplicemente più rischioso di prima.

Il mercato ha sempre funzionato in questo modo, dalle piccole imprese locali alle grandi aziende: l'arrivo di una realtà più competitiva mette in difficoltà, anche grave, quelle presenti da anni. Perché con i taxi dovrebbe essere diverso? Perché la risposta immediata è stata quella di chiedere la messa al bando dell'applicazione e non il tentativo di capire come una realtà apparsa dal nulla sia riuscita a mettere in difficoltà un settore attivo da decenni? Perché da anni i tassisti si oppongono ad ogni tentativo di liberalizzazione del mercato del trasporto pubblico – Bersani nel 2006 e Monti nel 2011 – senza mai evolvere la loro proposta? È inutile girarci attorno: dal punto di vista di un utente Uber è semplicemente più funzionale. E proprio Parigi l'ha dimostrato.

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"Se non puoi batterli, unisciti a loro". Se non puoi battere Uber, diventa Uber. Ad aver scelto questa linea è stata la principale compagnia parigina, G7, che da ormai diversi anni ha avviato una campagna di trasformazione che ha conformato la propria offerta a quella del rivale americano. Si è partiti nel 2015, quando sempre più tassisti hanno iniziato ad indossare giacca e cravatta, offrire acqua e caricatori per il cellulare e aprire la portiera ai clienti. Proprio come fanno gli autisti di Uber, mostrando un'accoglienza più calorosa nei confronti degli utenti. Poi è arrivata l'applicazione: G7 Taxi, l'elemento che ha uniformato definitivamente la compagnia a Uber. Insomma, la concorrenza ha dato i suoi frutti.

Il funzionamento è del tutto simile a quello del concorrente americano: ci si registra al servizio, si seleziona il tragitto, la tipologia di vettura e si attende l'arrivo dell'autista. L'offerta attuale è vasta e supera persino quella di Uber in Francia. Si va dal semplice taxi a quello ecologico, passando per il servizio dotato di comfort come la connessione WiFi, il minivan e la variante VIP. Il tutto a prezzi che restano spesso concorrenziali, pur assestandosi su cifre leggermente più alte rispetto a quelle che caratterizzano Uber. Prendendo come esempio la tratta che va da Place de l'Opéra a Montparnasse (19 minuti circa), con G7 si spenderebbero circa 15 euro, mentre con Uber classico 21 euro. Il servizio americano, però, offre anche l'opzione di carsharing UberPool (7 euro), UberX (11 euro) e Uber Verde (11 euro), mentre i taxi variano l'offerta di fascia "alta", cioè quella caratterizzata da maggiori servizi. Si va da G7+ (dotato di Wifi, 17 euro) al Van (21 euro), fino al G7 VIP (WiFi, acqua, caricatori per smartphone, 20 euro).

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Insomma, se a parità di prezzo con i taxi la comodità di Uber non metterebbe probabilmente mai in dubbio l'utente su quale servizio utilizzare, l'offerta di G7 può effettivamente portare ad una valutazione che prende in esame vari elementi, tra cui la possibilità di utilizzare una connessione al web durante il tragitto. In questo senso spendere un paio di euro in più sarebbe giustificato. La risposta di G7 a Uber si è rivelata intelligente perché ha risposto al colosso americano con le sue stesse armi: convenienza, rapidità e tecnologia. Ma anche con una comunicazione che va a colpire gli stessi tasti di quella di Uber. Così se l'azienda americana lancia la campagna #UberLove, G7 lancia #IloveG7, puntando a raccogliere pareri positivi degli utenti e a creare un buzz social positivo piuttosto che alimentare l'odio con frasi passivo aggressive come spesso avviene nelle proteste contro i taxi, anche e soprattutto in Italia.

Ecco, l'Italia. Vale la pena analizzare anche come hanno ribattuto i tassisti italiani all'arrivo di Uber, al netto delle polemiche, manifestazioni e hashtag vari. Un tentativo di rispondere con lo stesso approccio tech c'è stato, ma chiaramente non ha funzionato come nel caso francese. Il motivo è semplice: realizzare un'applicazione non basta se poi non c'è un'offerta che possa invogliarne l'utilizzo. Ad oggi MyTaxi, attiva a Roma e Milano, consente di prenotare una corsa in taxi e pagare attraverso la carta di credito (o account PayPal) registrata al profilo. Un tragitto simile a quello parigino preso in esame poco sopra viene a costare circa 18 euro, escluso l'importo dell'arrivo del taxi. La media è più alta rispetto a quella di G7, ma i servizi quali sono? Pressoché inesistenti.

MyTaxi, tanto sbandierata dai tassisti come alternativa a Uber che nessuno usa, non è altro che una soluzione tecnologica che di fatto sostituisce solo l'azione di chiamare il centralino, ma non offre nessun tipo di servizio aggiuntivo realmente utile come invece fanno Uber e G7. Ottenere la conferma della prenotazione di un taxi attraverso l'app, peraltro, porta il più delle volte ad attese piuttosto lunghe. Senza parlare dell'applicazione attiva in 56 città italiane che consente semplicemente di prenotare un taxi ed evitare la chiamata. Questo approccio lascia trasparire una discreta superficialità nell'analisi del perché Uber ha avuto un impatto tale da mettere in difficoltà i taxi, sottolineando una scarsa comprensione di un fenomeno che nonostante le limitazioni continua a procedere spedito verso la quotazione in borsa. L'unica soluzione possibile per contrastarlo è comprenderlo e farlo proprio, ricordandosi che se Uber continua a crescere è perché gli utenti lo preferiscono ai taxi. Proporre una (vera) innovazione per non essere schiacciati dal progresso tecnologico. E non affidarsi al proibizionismo ad ogni costo. A Parigi hanno dimostrato che è possibile, quando lo capiranno anche le altre realtà?

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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