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Motorola sotto accusa per posizione dominante, Google condannata per pubblicità ingannevole

Altre grane giudiziarie per il colosso della telefonia ora parte del gruppo di Google e per la stessa Mountain View. Apple e Microsoft denunciano Motorola a causa di alcuni brevetti mentre BigG in Australia è stato condannato per aver dirottato i risultati delle ricerche sull’iPad verso il Kindle Fire.
A cura di Angelo Marra
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L'universo dei giganti della tecnologia è costellato da una miriade di azioni legali tra i grandi gruppi, uno degli strumenti per la lotta al predominio sul mercato insieme (a volte) alle innovazioni e allo sviluppo di nuovi device o servizi. Uno degli argomenti più ricorrenti nelle aule dei tribunali è la questione dei brevetti su cui le aziende si accusano vicendevolmente di indebite appropriazioni o utilizzi. Mentre Facebook deve sbrogliare la grana servita da Yahoo, la quale sostiene che molti dei sistemi utilizzati dal re dei social network in realtà siano stati depositati molto prima dal gruppo di Sunnyvale, ora è il turno di Motorola, accusata da Apple e Microsoft di aver imposto l'esclusiva su alcune tecnologie brevettate impedendo la produzione di prodotti compatibili con iPhone, iPad, Windows e Xbox.

La faccenda, inutile dirlo, è finita sulla scrivania della Commissione Europea che ha deciso l'apertura di ben due inchieste per verificare se il produttore telefonico (ora di proprietà di Google) abbia violato le norme sulla concorrenza e abusato di una posizione dominante. Contemporaneamente, dall'altra parte del pianeta, lo stesso BigG è stato condannato da un giudice australiano per pubblicità ingannevole. Sembra infatti che gli utenti che sul popolare motore di ricerca digitavano la parola “iPad” ottenessero come risultato il link sponsorizzato “iPad Apple”, cliccando sul quale però si ritrovavano sul sito del Kindle Fire di Amazon. La storia era già finita in aula lo scorso anno ma il giudice aveva stabilito che Google non fosse responsabile delle keywords, le parole chiave, che invece sono selezionate dall'operatore pubblicitario.

Ora però un altro tribunale riunito in seduta plenaria è tornato sulla faccenda ed ha stabilito il coinvolgimento di Mountain View, sostenendo che non abbia vigilato attentamente sugli annunci pubblicati con AdSense. In poche parole, oltre all'inserzionista a commettere un illecito è anche il motore di ricerca il quale attiva tali annunci e li elabora tramite i suoi algoritmi, anche se questi rappresentano in tutto e per tutto una pubblicità ingannevole.

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