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“Abbiamo progettato Facebook per dare dipendenza come le sigarette”: l’ammissione dell’ex manager

Tim Kendall è un ex dirigente di Facebook che nei primi anni di esistenza del social era incaricato di trovare strategie per rendere l’attività fruttuosa dal punto di vista finanziario. In una udienza ha ammesso che la società si è ispirata all’industria del tabacco per fare in modo che l’esperienza sul social desse dipendenza.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Negli ultimi anni il tema dell'impatto dei social sul dibattito pubblico si è fatto sempre più scottante. Secondo molti osservatori esperti, questi mezzi di comunicazione e interazione si sono trasformati da formidabile opportunità di socializzazione globale a minaccia concreta per la tenuta stessa delle democrazie nel mondo. Tra coloro che paventano questo rischio c'è anche Tim Kendall, un ex dirigente di Facebook secondo il quale il social che ha contribuito a costruire sta portando gli Stati Uniti "sull'orlo della guerra civile".

L'affermazione fa parte di una testimonianza resa da Kendall durante un'udienza presso la camera dei rappresentanti statunitense. L'ex manager ha avuto il ruolo di responsabile per la monetizzazione di Facebook dalla nascita fino al 2010: è stata cioè la persona incaricata di trasformare un sito web gratuito che metteva in contatto persone da tutto il mondo in un prodotto capace di generare profitti.

"Facebook come le sigarette"

E per arrivare a questo risultato — ha ammesso nella sua testimonianza — sono state usati mezzi discutibili. "Ci siamo ispirati all'industria del tabacco, nel senso che abbiamo lavorato per fare in modo che la nostra offerta social desse dipendenza". Il riferimento è al fatto che l'intero social è progettato per attirare l'attenzione degli utenti per più tempo possibile: dai like agli aggiornamenti, passando per i tag, le notifiche ubique e in generale per l'esigenza imposta di proiettare sul sito un'immagine di sé che piaccia agli altri. Il tempo passato sul social dagli iscritti del resto è una metrica alla quale il gruppo può riferirsi per vendere spazi pubblicitari agli inserzionisti, ed è dunque la linfa vitale del social.

Il ruolo delle fake news

Per Kendall, i contenuti divisivi e scioccanti che circolano su Facebook sono un altro aspetto del medesimo problema, e hanno finito con il guadagnare stabilmente posizioni preponderanti all'interno della piattaforma perché premiati da algoritmi che li selezionano sulla base dell'attenzione che possono attirare e dunque, indirettamente, su quanto possono far guadagnare l'azienda. Il risultato sul medio termine però è stato catastrofico: "Questi algoritmi hanno tirato fuori il peggio da ciascuno di noi; hanno letteralmente riprogrammato i nostri cervelli, rendendoci più distanti dalla realtà e più vicini a logiche di tipo tribale".

Senza equilibrio

La testimonianza dell'ex manager dipinge un quadro che altri esperti ed ex dipendenti del gruppo hanno già descritto in passato: Facebook avrebbe smesso presto di essere un luogo di confronto tra utenti, per trasformarsi in un'arena dove ognuno rafforza le proprie opinioni e si dà addosso all'avversario. Di nuovo c'è che il ruolo di Kendall in Facebook sarebbe dovuto essere esattamente quello di mantenere in equilibrio il sano funzionamento del social con la legittima ricerca di un profitto da parte dell'azienda che lo gestisce.

Le elezioni alle porte

Le cose sembrano essere andate in un altro modo: "Le piattaforme social che io e altri abbiamo costruito negli ultimi 15 anni sono servite a dividere la gente con velocità e intensità allarmanti", ha osservato Kendall. "Come minimo, abbiamo danneggiato la nostra capacità di comprendere ciò che ci circonda; nel peggiore dei casi, temo che in questo modo ci stiamo spingendo sull'orlo di una guerra civile". Facebook non ha ancora commentato la testimonianza, ma giorni fa ha annunciato di voler mettere uno stop agli annunci elettorali nei giorni delle elezioni USA per impedire che le comunicazioni incontrollate sul social da parte di esponenti politici e simpatizzanti provochino a disordini.

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