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Covid 19

Aeroporti vuoti, case piene: come sono cambiati i nostri spostamenti secondo Google

La casa di Mountain View ha utilizzato i dati di geolocalizzazione anonimi provenienti da centinaia di migliaia di smartphone in tutto il Paese per pubblicare una statistica sui movimenti degli italiani nelle settimane che hanno marcato l’entrata nel vivo della seconda ondata di contagi da coronavirus.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Anche questa seconda ondata di contagi da coronavirus ha portato restrizioni significative nella libertà di movimento dei cittadini. Le misure serviranno a rallentare la diffusione della pandemia tra la popolazione, ma hanno significativamente cambiato il modo in cui le persone fruiscono degli spazi che le circondano: a fotografare la situazione ci ha pensato Google, che pochi giorni fa ha pubblicato un rapporto sugli spostamenti degli italiani sul territorio nazionale a partire dalla fine di settembre.

Come sono stati raccolti i dati

La casa di Mountain View è custode di una infinità di informazioni sui suoi utenti, e questi ultimi sono una vera infinità: chiunque utilizzi il motore di ricerca Google, le caselle di posta elettronica Gmail o soprattutto uno smartphone Android in Italia fornisce all'azienda dati preziosi che possono essere utilizzati per i suoi scopi. Nel caso in questione, Google ha utilizzato i dati di geolocalizzazione dei suoi utenti per tracciarne i movimenti in modo anonimo: le informazioni che pervengono in massa sui suoi server sono state cioè private delle porzioni che potrebbero servire a identificare le singole persone, e utilizzate a scopo statistico per capire dove gli italiani si sono mossi di più e con quale frequenza.

Il sistema è simile a quello utilizzato all'interno di Google Maps per calcolare il traffico su un determinato percorso o il grado di affollamento di negozi e mezzi pubblici, e nel caso dell'analisi degli spostamenti delle ultime settimane ha dato risultati non troppo difficili da prevedere.

Le rilevazioni di Google

Le uniche aree dove gli spostamenti si sono fatti più intensi sono quelle residenziali, più frequentate del 12 percento rispetto al normale. Per il resto, a finire principalmente deserti sono stati i negozi e le destinazioni adibite al tempo libero, come ristoranti bar, musei, biblioteche e cinema: in questi luoghi gli spostamenti sono diminuiti del 53 percento rispetto al solito. Un colpo simile, soprattutto per effetto delle misure delle ultime settimane, lo hanno subito le stazioni di autobus, treni e metropolitane, dove l'affollamento è diminuito del 43 percento rispetto al normale. Gli spostamenti presso alimentari e farmacie hanno mostrato una flessione significativa ma minore — del 36 percento — poiché vi si vendono generi di prima necessità e non sono stati colpiti dai DPCM che si sono susseguiti in queste settimane. Gli spostamenti relativi ai luoghi di lavoro grazie alle aziende che hanno finalmente ricominciato ad adottare politiche di smart working, ma solo del 25 percento. I parchi — che comprendono anche spiagge, aree cani, piazze e giardini pubblici — hanno sostanzialmente retto: la diminuzione del 9 percento riferita da Google è infatti il risultato dei dati di regioni dove questi luoghi sono stati alternativamente presi d'assalto oppure abbandonati.

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Mancano i dati più recenti

Il documento analizza anche i dati rilevati all'interno delle singole regioni e delle relative province, anche questi dati sono influenzati da due fattori. Nel primo caso si tratta della classificazione della regione in gialla, arancione o rossa data dal governo, che ha forzato una interruzione degli spostamenti in alcune zone ma non in altre; nel caso delle province vanno considerate invece la conformazione del territorio l'appartenenza ad esempio a un'area prevalentemente rurale o urbana. I dati di Google in realtà si fermano all'8 novembre e non hanno preso dunque in considerazione la suddivisione delle regioni se non per soli 2 giorni nell'ultimo weekend, ma prossimamente potrebbero essere più esaustivi al riguardo.

Informazioni fondamentali

Dati simili del resto sono quelli che secondo sempre più esperti potrebbero servire per inaugurare una nuova fase nella lotta al coronavirus, nella quale i nuovi focolai vengono previsti e spenti sul nascere anziché dover essere tracciati a posteriori e inseguiti affannosamente. I giganti della Silicon Valley hanno già per le mani informazioni rese anonime ma estremamente precise non solo sugli spostamenti, ma su ogni altro aspetto della vita online di miliardi di persone. Facebook ha già annunciato di voler sfruttare queste informazioni per realizzare proprio un sistema di previsione dei focolai di Covid-19; l'auspicio di ricercatori e osservatori è però diverso: che le informazioni ricavate dagli utenti — anziché rimanere nelle mani di pochi — vengano rese pubbliche e diventino un bene comune, per sistematizzare la lotta predittiva a Covid-19 a livello governativo.

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